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41 bis: come nasce e cosa prevede il “carcere duro”?

Dopo le ultime polemiche sul caso Cospito, capiamo meglio come funziona il regime carcerario che in Italia rappresenta l’1,3% delle detenzioni, la maggior parte delle quali per criminalità organizzata
Credit: Matt Jerome Connor

La sua introduzione avvenne nel 1986 «in via temporanea» con la legge Gozzini. Ben presto, però, il 41 bis – definito da molti “carcere duro” – si trasformò in una misura permanente, entrando a far parte stabilmente dell’ordinamento penitenziario e, da oltre trent’anni, è uno degli strumenti più utilizzati soprattutto in materia di criminalità organizzata.

Siamo tornati a parlarne all’indomani della cattura del super latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro e nuovamente per il caso di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame per il quale il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha confermato il 41 bis definendolo “indispensabile” e ribadendo che “di fronte alla violenza non si tratta, l’ondata di gesti vandalici giustifica il mantenimento del 41bis”. Questo particolare regime carcerario, introdotto come risposta alle stragi mafiose che hanno causato la morte dei giudici Falcone e Borsellino e degli agenti delle loro scorte, non nasce però per isolare i detenuti e aggravarne la pena ma per evitare che i detenuti continuino a comunicare all’esterno e impartire direttive dal carcere. Vediamo nello specifico cosa prevede il 41 bis.

41 bis nella storia come e perché è nato

L’articolo 41 bis è una disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano introdotta dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, che prevede un particolare regime carcerario detto “carcere duro” per la rigidità delle prescrizioni carcerarie applicate. La disposizione, introdotta dalla legge Gozzini, che modificò la legge 26 luglio 1975, n. 354, in origine era composta da un unico comma: «In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto».

La legge nacque quindi per prevenire situazioni di pericolo all’interno delle carceri e andava a completamento dell’articolo 14-bis, che prevedeva il “sistema di sorveglianza particolare”, applicabile a tutti quei detenuti ritenuti pericolosi a causa dei loro comportamenti all’interno del carcere.

Tutto cambiò nel 1992, dopo la Strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, all’articolo si aggiunse un secondo comma disposto con il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, il Decreto antimafia Martelli-Scotti, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. «Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro di grazia e giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell’articolo 4- bis, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza».

Con la nuova disposizione si consentiva al Ministro della Giustizia di sospendere le garanzie e gli istituti dell’ordinamento penitenziario, per applicare “le restrizioni necessarie” nei confronti dei detenuti condannati, indagati o imputati per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, nonché i delitti commessi per mezzo dell’associazione o per avvantaggiarla. L’obiettivo principale era ed è impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali in carcere e le loro organizzazioni sul territorio.

Quindi l’espressione “carcere duro” non è finalizzato a rendere la pena più afflittiva, ma è pensato con la finalità di tagliare i ponti e i contatti interni alle organizzazioni criminali che come tali vivono anche molto della rete dei loro legami.

41 bis caratteristiche e delitti puniti

Attualmente in Italia, secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero della Giustizia del 31 ottobre 2022, sono 728 i carcerati a cui è applicato il regime del 41 bis, tra cui dodici donne. Numeri a cui andrebbe aggiunto l’ultimo detenuto in questo regime, Matteo Messina Denaro, catturato il 16 gennaio scorso.

I detenuti in regime carcerario 41 bis rappresentano l’1,3% del totale dei carcerati italiani, quasi tutti per reati legati alla criminalità organizzata, quattro per terrorismo interno e internazionale. Tra questi c’è appunto l’anarchico Alfredo Cospito, oltre ai membri delle Brigate Rosse condannati per gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi: Nadia Desdemona Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi.

Il comma 2-quater dell’art. 41-bis prevede che «i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione» siano «ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto…». Il regime è volto a ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all’esterno e all’interno di un carcere, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l’ordine pubblico.

A questo scopo è stato inserito il comma 2, introdotto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, dal 2002 la legge, riconosciuta legittima dalla Corte di cassazione con ripetute sentenze, specifica le misure applicabili durante il 41 bis:

- Isolamento nei confronti degli altri detenuti. Il detenuto è situato in una camera di pernottamento singola e non ha accesso agli spazi comuni del carcere;

- L’ora d’aria è limitata (concessa solamente per alcune tipologie di reato) - rispetto ai detenuti comuni - a due ore al giorno e avviene anch’essa in isolamento.

- Il detenuto è costantemente sorvegliato da un reparto speciale del corpo di polizia penitenziaria il quale, a sua volta, non entra in contatto con gli altri poliziotti penitenziari.

- Limitazione dei colloqui con i familiari (anch’essi concessi solamente per alcune tipologie di reato) per quantità (massimo uno al mese della durata di un’ora) e per qualità (il contatto fisico è impedito da un vetro divisorio a tutta altezza). Solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti. Secondo le nuove regole i detenuti possono incontrare senza vetro divisore i parenti di primo grado inferiori a 12 anni di età.

- Nel caso di colloqui con l’avvocato difensore i colloqui non hanno limitazioni in ordine di numero e durata.

- Visto di controllo della posta in uscita e in entrata.

- Limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere tenuti nelle camere di pernottamento e anche negli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno. Resta il divieto alla detenzione di libri e giornali, tranne particolari autorizzazioni.

- Esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati.

Il “carcere duro” è applicabile ai seguenti delitti:

- delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

- delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso;

- delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose;

- delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù;

- prostituzione minorile, consistente nell’indurre alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero nel favorirne o sfruttarne la prostituzione;

- delitto di chi, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni pornografiche e chi fa commercio del materiale pornografico predetto;

- delitto di tratta di persone;

- delitto di acquisto e alienazione di schiavi;

- delitto di violenza sessuale di gruppo;

- delitto di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

- delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;

- delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Numeri e strutture in Italia con il 41 bis

Non tutte le carceri italiane sono dotate di strutture idonee per il regime di 41 bis: al momento lo sono 21 strutture in Italia.

Sempre secondo i dati del Ministero della Giustizia il carcere con il maggior numero di detenuti al 41-bis (143) è quello abruzzese dell’Aquila, dove è al momento rinchiuso Matteo Messina Denaro. Al secondo posto c’è il carcere Opera di Milano, in Lombardia, con 95 detenuti, seguito da quello di Sassari, in Sardegna, con 86 detenuti.

Nel dettaglio dei reati, 242 tra i 728 detenuti al 41-bis al 31 ottobre 2022 si trovavano in regime di 41 bis per legami con la Camorra, 195 per legami con la ‘Ndrangheta e 232 per legami con Cosa nostra. Altri 55 detenuti in “carcere duro” erano lì per reati legati ad altre associazioni mafiose, mentre in quattro per reati di terrorismo interno e internazionale.

Polemiche e applicazione del 41 bis

Il regime di 41-bis applicato per periodi molto lunghi, anche a persone non condannate in via definitiva, genera polemiche perché ritenuto incostituzionale, ma finora le pronunce della Corte costituzionale ne hanno confermato la legittimità.

Il punto più controverso sul quale si interrogano i giuristi non solo è l’effettivo scopo del regime carcerario. Il dubbio è che l’intento per il quale è stato concepito – e cioè prevenire eventuali contatti con il crimine organizzato – stia facendo spazio a un’altra necessità quella di esercitare pressione sul detenuto al fine di indurlo a collaborare con la giustizia.

La partita si gioca tra due esigenze fondamentali che lo Stato deve e dovrà negli anni cercare di garantire con la massima oggettività e giustizia, assicurare la condanna di chi ha commesso reati senza che questa leda i diritti fondamentali della persona e garantire ai cittadini e alle istituzioni la tutela dalla prevaricazione delle organizzazioni criminali.

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