Diritti

Chi è Matteo Messina Denaro?

Catturato dopo 30 anni di latitanza, il capo di Cosa Nostra è stato tra i mandanti degli attentati terroristici di Capaci e via D’Amelio. In cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino
Credit: ANSA/ HO POLICE
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
16 gennaio 2023 Aggiornato alle 16:20

Il capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, 60 anni, è stato arrestato dai carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) dopo 30 anni di latitanza. L’operazione sarebbe avvenuta nel corso di un blitz notturno presso la clinica privata ‘La Maddalena’ di Palermo, dove il boss mafioso si trovava in terapia oncologica sotto lo pseudonimo di Andrea Bonafede.

Figlio di Francesco Messina Denaro, alias don Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro era latitante dall’estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca annunciò l’inizio della sua vita da “primula rossa”, come vengono chiamati in gergo i maggiori ricercati dalla polizia.

«Sono il quarto di sei figli e sono l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi», dichiarò il boss agli uffici della Squadra mobile di Trapani il 30 giugno 1988. Terreni che presto ‘U siccu’ (‘Il secco’) o Diabolik, com’era soprannominato il pupillo di Riina, avrebbe disseminato di bossoli e cadaveri.

Ci sarebbe anche la firma di Messina Denaro, allora trentenne in ascesa, dietro l’eliminazione di Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo in disaccordo con la politica del “capo dei capi”, e della sua compagna Antonella Bonomo, 23 anni, incinta, strangolata e seppellita insieme al consorte nelle campagne di Castellammare del Golfo.

Nell’ottobre 2020, il boss originario di Castelvetrano (Trapani) è stato condannato all’ergastolo per le stragi mafiose del 1992 di Capaci e via D’Amelio, che costarono la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli agenti delle loro scorte. Stesso verdetto per gli attentati della primavera-estate del 1993 di via Georgofili a Firenze, di via Palestro a Milano e, la stessa notte, in diverse chiese di Roma.

È inoltre ritenuto responsabile dell’omicidio del quattordicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido nitrico da Giovanni Brusca nel 1996 al termine di 25 mesi di prigionia. La sua prima denuncia per associazione mafiosa risale al 1989. L’ultima volta era stato visto a Forte dei Marmi, in Toscana, nell’agosto del 1993 in compagnia di Filippo e Giuseppe Graviano.

L’inchiesta che ha portato alla cattura Messina Denaro è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Il boss trapanese è stato ora trasferito in una struttura carceraria di massima sicurezza, al momento ignota.

Il suo arresto avviene a circa 17 anni di distanza da quello di Bernardo Provenzano, di cui Messina Denaro ha raccolto l’eredità, e a 30 anni da quello di Totò Riina, catturato il 15 gennaio 1993 dopo 24 anni di latitanza. «All’indomani dell’anniversario dell’arresto di Totò Riina, un altro capo della criminalità organizzata viene assicurato alla giustizia», ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

«Il governo assicura che la lotta alla criminalità mafiosa proseguirà senza tregua, come dimostra il fatto che il primo provvedimento di questo esecutivo - la difesa del carcere ostativo - ha riguardato proprio questa materia», ha aggiunto Meloni, che ha definito la cattura «una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia».

Parole analoghe arrivano dal ministero della Giustizia: «Con l’arresto di Matteo Messina Denaro si chiude davvero una delle più drammatiche stagioni della storia della Repubblica – ha dichiarato Carlo Nordio – Con la cattura dell’ultimo super latitante, si rinnova altresì l’impegno quotidiano nella lotta a ogni mafia e a ogni forma di criminalità».

I complimenti per l’operazione sono arrivati anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in mattinata ha telefonato al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e al comandante generale dell’Arma dei carabinieri Teo Luzi per congratularsi dell’arresto «realizzato in stretto raccordo con la Magistratura».

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