Diritti

La riabilitazione comincia nel carcere

La situazione della carceri italiane. Poco interesse dei condannati alla rieducazione, sovraffollamento delle celle, caldo ingestibile. Quali sono le way out?
Credit: Zora Murff
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29 luglio 2022 Aggiornato alle 15:00

Sovraffollamento, morti in cella, difficoltà di reinserimento nella società: sono alcune delle problematiche che ormai da anni affliggono il sistema penitenziario italiano e che, dopo la pandemia, hanno visto un drastico peggioramento del quadro.

Secondo i dati raccolti dalle pubbliche amministrazioni e dalle associazioni di categoria e riportati da Openpolis, prima del 2020 nel nostro Paese c’erano circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili. Peggio – in Europa – solo Cipro, con 134,6 detenuti ogni 100 posti. Con l’arrivo della pandemia, la situazione si è sensibilmente aggravata, portando i governi ad attuare misure emergenziali che, come sottolineano le associazioni di categoria, hanno contribuito al deterioramento della condizione di vita in carcere.

In particolare, per far fronte all’emergenza sanitaria, in Italia sono state attuate misure deflattive nei casi di pene inferiori ai 18 mesi per mezzo dell’attuazione del decreto-legge 18/2020. Tuttavia, si tratta di una misura che non ha risolto il problema: a oggi, il nostro Paese si classifica quinto in Ue per sovraffollamento delle carceri.

Inoltre, durante questa estate rovente, si aggiunge alle altre problematiche anche la questione caldo, a cui non sono immuni nemmeno le carceri. Queste «non sono attrezzate per affrontare le ondate di calore che ormai negli ultimi anni stiamo vivendo - riporta l’associazione Antigone, per la tutela dei diritti nel sistema penitenziario - Il sovraffollamento rappresenta un problema evidente. In carcere si sta stretti e nelle celle e nelle sezioni ci sono più detenuti».

Un altro problema analogo e trasversale, che ha subito una forte battuta d’arresto durante i mesi di pandemia, è quello relativo ai percorsi di reinserimento. Secondo il XVIII Rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione, il fine rieducativo è stato negli ultimi due anni fortemente compromesso: «quasi ovunque – si legge nel rapporto – la formazione professionale è ferma dall’inizio della pandemia […] Per quanto riguarda i lavori di Pubblica Utilità sembrerebbe che la pandemia abbia posto fine a gran parte delle convenzioni e attività».

In questo senso, stando ai dati pubblicati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, tra il secondo semestre del 2019 e il primo del 2020 si è registrato un calo del 70% del numero di iscritti ai corsi professionali attivati in carcere, passando da oltre 2.000 partecipanti a poco meno di 800. Un quadro drammatico, questo, che dipinge una realtà lontana dall’etica dell’articolo 27, una realtà che, spesso, è ancora costellata di pregiudizi.

Ma qualcosa, finalmente, si sta muovendo. Nel tentativo di ristabilire una situazione di “normalità”, il Ministero della Giustizia e il Gruppo Ferrovie dello Stato hanno in questi giorni siglato il protocollo d’intesa “Mi riscatto per il futuro”, una cooperazione finalizzata a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti attraverso specifici progetti di istruzione, formazione e orientamento professionale per un possibile impiego in programmi di pubblica utilità e lavori intramurari.

Il protocollo, sottoscritto dalla ministra Marta Cartabia e l’amministratore delegato del Gruppo FS Luigi Ferraris, ha durata triennale e prevede la creazione di un tavolo di lavoro orientato – tra le altre cose – allo studio e alla verifica di iniziative avviate con l’accordo per il raggiungimento di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

La ministra Catabria, in merito, ha dichiarato: «Collaborazioni con aziende prestigiose che operano a livello nazionale costituiscono uno strumento indispensabile perché l’Amministrazione Penitenziaria possa adempiere al meglio al suo mandato istituzionale, offrendo opportunità formative e lavorative importanti per dare un senso alla pena».

«La firma di questo protocollo di intesa con il Ministero della Giustizia conferma il particolare impegno del Gruppo FS nel sostenere progetti sociali rivolti a persone in condizioni di fragilità e marginalità – ha dichiarato l’AD Luigi Ferrari – La solidarietà è un elemento cardine della sostenibilità sociale, e la sostenibilità permea ogni nostra attività».

Ad oggi, sono 110 gli accordi siglati con il modello “Mi riscatto per il futuro” e finalizzati alla riabilitazione sociale della persona, e non si esclude la collaborazione con aziende internazionali.

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