Ambiente

Le contraddizioni ambientaliste di Biden

Problemi nella realizzazione di parchi eolici e solari ma anche promesse non rispettate riguardo l’estrazione di fonti fossili, come le trivellazioni in Alaska. Luci e ombre delle politiche green del Presidente Usa
Credit: Delia Giandeini
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3 febbraio 2023 Aggiornato alle 15:00

A partire dagli anni ‘60, gli Stati Uniti cominciarono a rendersi conto delle minacce dell’inquinamento. Nel 1969 il Presidente Richard Nixon emanò il National Environmental Policy Act (Nepa), una legge che promuoveva il miglioramento ambientale, e creò l’Environmental Protection Agency (Epa) nel 1970, che ha come obiettivo la protezione dell’ambiente e della salute umana. Con questi provvedimenti si gettarono le basi dell’ambientalismo americano, una svolta che ci porta fino ai giorni nostri.

Il Presidente Joe Biden, infatti, ha emanato ad agosto 2022 l’Inflation Reduction Act (Ira), un piano di riforme che ha come obiettivo la transizione verde, una legge senza precedenti.

Sono stati stanziati circa 370 miliardi di dollari per realizzare impianti di energia pulita, al fine di ridurre almeno del 40% le emissioni di gas serra entro il 2030, puntando soprattutto sulle rinnovabili. Ma non mancano i problemi.

Molto spesso, i tempi burocratici necessari per ottenere i permessi per la costruzione di questi impianti sono lunghi. Come calcolato da McKinsey&Company, multinazionale di consulenza strategica, possono essere necessari fino a 5 anni per ottenere il permesso per un parco solare, e fino a 7 per un parco eolico: un ritardo che è emerso grazie a questa corsa verso la transizione verde e che è stato condiviso da maggioranza e opposizione politica.

Ritardo nelle autorizzazioni può significare, da un lato, l’abbandono dei progetti e dall’altro un significativo aumento dei costi.

Ad esempio, la PacificCorp, società di energia elettrica statunitense, aveva realizzato un preventivo di 1,3 miliardi di dollari per la realizzazione di una linea di trasmissione dal Wyoming allo Utah; dopo 15 anni il prezzo è salito a 1,9 miliardi di dollari.

C’è anche chi ritiene che i 370 miliardi stanziati da Biden non siano sufficienti, considerando che gli Stati Uniti rappresentano uno dei Paesi con mezzi finanziari maggiori.

A tutto ciò, si aggiunge la questione delle disponibilità dei luoghi. Per la costruzione di parchi eolici e solari saranno necessari enormi quantità di terreni per generare una mole di energia significativa, terreni di circa 10 volte più grandi rispetto a quelli utilizzabili per le centrali a gas o a carbone.

Questo porta alla questione più discussa dagli ambientalisti: la costruzione di parchi solari o eolici in zone rurali ed estese non permetterebbe gli altri usi del suolo, come per esempio l’agricoltura. Inoltre, si rischia di compromettere gli ecosistemi e la biodiversità, elementi fondamentali per la lotta al cambiamento climatico.

Tante sono le preoccupazioni per le specie in via d’estinzione e i loro habitat, è il caso del gallo cedrone nel Wyoming.

Nella metà del 2023 dovrebbero partire i cantieri per l’Aratina solar center, un progetto che prevede la costruzione di un parco fotovoltaico di oltre 9 km, in California; l’altra faccia della medaglia? Questo progetto porterà all’abbattimento di oltre 4.000 alberi. In più, il trasporto di energia dalle zone rurali alle zone urbane, se a lungo raggio, richiede infrastrutture estremamente costose e anche delle perdite di energia: si rischia di disperdere elettricità.

Quale potrebbe essere una soluzione? Puntare alla costruzione di questi impianti nelle zone urbane, o comunque nei pressi dei centri cittadini, ma anche sfruttando zone all’interno delle città, come i tetti o zone industriali.

Secondo lo studio del 2021 condotto da Joshua Pearce, docente della Michigan Technological University e della Western University, negli Stati Uniti l’installazione di pannelli solari sui parcheggi dei 3751 supermercati della catena Walmart potrebbe generare la stessa quantità di elettricità di circa 10 centrali elettriche a carbone.

Ovviamente bisogna tener conto anche dei costi, che potrebbero essere elevati. Ma una soluzione potrebbe essere quella di far pagare un prezzo per coloro che volessero ricaricare l’auto elettrica.

Al contempo sta prendendo piede, in diversi Stati americani, il fenomeno Nimby (Not in my backyard, “Non nel mio cortile”). Con questo acronimo si intende quella forma di protesta delle piccole comunità locali che vedono come minaccia la costruzione di determinate opere sociali nella loro area di residenza.

C’è chi si appella al danneggiamento della visuale, chi alla distruzione della bellezza del paesaggio; la situazione peggiore si registra in California, «il Nimbyismo sta distruggendo lo Stato», così ha dichiarato il governatore Gavin Newsom, democratico.

Al tempo stesso, però, avanza anche il movimento in opposizione, Yimby (Yes in my backyard), che piano piano sta assumendo rilevanza anche sul piano politico, cercando di accelerare i processi burocratici, approvare le leggi e semplificare le autorizzazioni.

Come sta affrontando la situazione la presidenza di Joe Biden? Da una parte ha emanato l’Ira, ma al tempo stesso il Presidente sta portando avanti, dal 2021, l’iniziativa America the beautiful, per ripristinare, collegare e conservare almeno il 30% di terre e acque entro il 2030, in quanto alimentano le economie locali e aiutano a combattere il cambiamento climatico. C’è dunque confusione, chi avrà la priorità tra la transizione verde e la conservazione del territorio?

Nel frattempo, in questi ultimi giorni, Joe Biden ha approvato il progetto di Conocophilips, il più grande progetto di trivellazione petrolifera in un territorio estremamente vasto, la più grande distesa di suolo pubblico della Nazione, in Alaska. Un progetto che vale dagli 8 ai 10 miliardi di dollari. A causa del forte impatto ambientale è stata proposta una riduzione di circa il 12% rispetto al progetto iniziale, ma non è stato scartato. L’amministrazione Biden ha, comunque, ancora 30 giorni per riflettere, prima di prendere la decisione definitiva.

Il problema principale è che il territorio dove sorgerà questa “bomba di carbonio”, Willow, è uno dei più indisturbati dell’intero Paese, sede di habitat di diverse specie di uccelli ma anche di orsi polari. Non risulta, dunque, in linea con l’obiettivo del Presidente di conservare parte di territori e acque e di combattere il cambiamento climatico: come stimato dal Seis (Shared environmental information system), il progetto Willow genererebbe circa 9,2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, l’equivalente di 76 centrali a carbone.

Tutto ciò ha, inevitabilmente, generato l’ira degli ambientalisti, i quali criticano il comportamento dell’amministrazione che, da una parte si vuole impegnare a ridurre le emissioni entro il 2030, e dall’altra permette l’approvazione di un simile progetto.

Ricordiamo l’impegno che il Presidente aveva promesso in campagna elettorale in ambito climatico e lo stop ai permessi alle stesse trivellazioni in Alaska, nel giugno 2021, che erano stati concessi da Donald Trump.

Ovviamente, non esiste un luogo ideale dove costruire questi grandi impianti e gli scontri tra i sostenitori delle infrastrutture energetiche e i sostenitori del bene pubblico sono inevitabili, ma è necessario scendere a compromessi.

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