Ambiente

La fine del piano climatico di Biden

Il senatore democratico Joe Manchin non supporterà in Senato il piano contro la crisi climatica proposto dal presidente. Senza il suo voto, sarà impossibile per il Partito blu far passare le misure
Il presidente Joe Biden fuori dall'Ufficio Ovale il 20 luglio 2022, in rotta verso Somerset, Massachusetts, per esprimere un commento sul futuro di energia pulita
Il presidente Joe Biden fuori dall'Ufficio Ovale il 20 luglio 2022, in rotta verso Somerset, Massachusetts, per esprimere un commento sul futuro di energia pulita Credit: EPA/Yuri Gripas / POOL
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25 luglio 2022 Aggiornato alle 17:00

Il piano per contrastare la crisi climatica, proposto dal presidente americano Joe Biden, è stato definitivamente affossato dal senatore democratico Joe Manchin, il quale ha affermato che non lo supporterà durante la votazione al Senato a causa dell’inflazione in aumento: «Non importa quante ambizioni di spesa possa avere qualcuno al Congresso, è chiaro a chiunque visiti un negozio o una stazione di benzina che non possiamo aggiungere altro carburante al fuoco inflazionistico».

Senza il voto del senatore sarà impossibile per il Partito Democratico americano far passare le misure proposte, data l’intransigente opposizione del Partito Repubblicano che detiene la metà dei seggi. Di fronte a questo veto John Podesta, fondatore del think tank liberal “Center for American Progress”, ha commentato duramente: «Fa strano che il senatore Manchin voglia scegliere come sua eredità politica il fatto di essere colui che da solo ha condannato l’umanità. Ma non possiamo gettare la spugna riguardo il Pianeta».

Lo stop imposto dal senatore è solo l’ultimo atto di una complessa trattativa in corso dal marzo del 2021, quando la nuova presidenza aveva proposto ilBuild Back Better Plan”, con un budget iniziale di 4000 miliardi di dollari e una corposa parte destinata alle politiche ambientali-climatiche.

Un piano osteggiato fin dall’inizio dal Partito Repubblicano e da alcuni senatori democratici, fra cui principalmente Joe Manchin e Kyrsten Sinema, che hanno progressivamente costretto il governo a ridimensionare il budget fino a approvare alla Camera dei Rappresentanti un piano ridotto della metà nel novembre del 2021. Ma da allora, mancando il passaggio definitivo al Senato, la proposta è finita ostaggio dei veti di Manchin che hanno paralizzato qualsiasi ulteriore avanzamento.

Dietro il senatore democratico si staglia l’ombra delle lobby de settore fossile, che hanno finanziato ripetutamente il politico americano. «Manchin è un conflitto di interessi che cammina. E ciò che rende il tutto ancora più problematico è il fatto che lui è il 50esimo senatore democratico, cosa che gli conferisce un’enorme influenza sulle politiche climatiche», ha dichiarato Craig Holman, attivista del gruppo di difesa dei diritti dei consumatori “Public Citizen”.

Provenendo da una famiglia legata al business del carbone nello stato del West Viriginia, Manchin ha sempre rappresentato un nodo fondamentale per numerose imprese energetiche, interessate a fermare qualsiasi legislazione ambientale che potesse minare i loro progetti economici nel campo del petrolio, gas e carbone.

Con queste strategie dilatatorie e veti continui, combinate con la recente sentenza della Corte Suprema sulle emissioni, i progetti climatici del presidente Biden rischiano seriamente il fallimento totale, soprattutto in vista delle elezioni di Midterm dove i Repubblicani potrebbero conquistare il controllo di entrambe le camere. Un colpo enorme per i già deboli e frammentati piani di mitigazione a livello globale, che perderebbero un ulteriore tassello venendo a meno i piani statunitensi.

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