Diritti

Iran: solo 15 minuti per difendersi dalla pena di morte

Secondo alcuni testimoni che hanno parlato con la Bbc, è il tempo massimo concesso ai condannati nei processi. Per tentar di evitare l’impiccagione
Credit: globalnews.ca
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
20 gennaio 2023 Aggiornato alle 17:00

Le proteste in Iran sono scoppiate 4 mesi fa dopo la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne curda prelevata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo. Da allora, 4 giovani manifestanti sono stati messi a morte perché colpevoli, secondo il regime, del reato di moharebeh, inimicizia contro Dio, in relazione alle proteste che infiammano il Paese. Mentre un cittadino con doppia nazionalità britannico-iraniana è stato impiccato per spionaggio per conto del Regno Unito.

I gruppi per i diritti umani accusano le autorità iraniane di aver condannato queste persone dopo processi farsa, con lo scopo di incutere timore nei manifestanti e scoraggiarli da azioni di protesta contro il regime. Il portavoce della magistratura iraniana Massoud Setayeshi, citato dall’emittente Iran international, ha dichiarato che sarebbero state rilasciate circa 5.200 persone arrestate nella provincia di Teheran durante le manifestazioni antigovernative. Una cifra che, secondo Setayeshi, equivale a oltre il 98% dei manifestanti arrestati nella capitale. Ma l’agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana ha ricordato che, in tutto il Paese, sarebbero più di 19.500 i detenuti.

Le dichiarazioni di Setayeshi arrivano il giorno dopo il voto schiacciante del Parlamento europeo che ha approvato una risoluzione che invita l’Ue e gli Stati membri a aggiungere la Guardia rivoluzionaria iraniana ai gruppi terroristici. Nei giorni scorsi l’Iran aveva messo in guardia l’Unione europea dal designare come terroristica «l’organizzazione formale e sovrana il cui ruolo è centrale per garantire la sicurezza dell’Iran», secondo le parole dal ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian.

Le Guardie rivoluzionarie, note come pasdaran, erano già state inserite dagli Stati Uniti nella lista dei gruppi terroristici nel 2019: una decisione presa dal governo di Donald Trump per colpire le risorse finanziarie e indebolire quelle che furono definite lo strumento principale dell’Iran per «realizzare la sua campagna di terrorismo globale».

Le Guardie rivoluzionarie sono uno degli ostacoli maggiori dei manifestanti iraniani, perché molto potenti, numerose (sono circa 300.000) e dipendenti - soprattutto economicamente - dalla Guida suprema Ali Khamenei: non hanno nessun interesse che il regime cada. Tra i manifestanti arrestati da questo corpo militare c’era anche Mohammad Mehdi Karami, il campione di karate di 22 anni impiccato il 7 gennaio 2023: era stato preso in custodia 65 giorni prima in relazione all’omicidio di un membro delle forze paramilitari Basij durante gli scontri che si stavano svolgendo a Karaj, a ovest di Teheran, il 3 novembre 2022.

La Bbc ha ricostruito il processo di Karami di fronte al tribunale rivoluzionario di Karaj insieme ad altre 16 persone, tra cui 3 bambini, accusate di essere coinvolte nell’omicidio. Nonostante gli imputati abbiano diritto alla rappresentanza legale in Iran, in casi delicati come questo, o in quelli di spionaggio, non gli è permesso scegliersi gli avvocati. E così, il tribunale li nomina al posto loro selezionandoli da un elenco approvato dalla magistratura. Né i membri della famiglia dell’imputato né i giornalisti possono presenziare: quindi, le uniche immagini che ci vengono restituite sono quelle diffuse dalla magistratura.

Nel video che ritrae Karami a processo, il ragazzo è visibilmente angosciato e confessa l’omicidio, dopo essere stato torturato - secondo il gruppo di attivisti dell’opposizione 1500 Tasvir - mentre si trovava in carcere, fino a svenire. La “difesa” dura solo 15 minuti, secondo alcune testimonianze: 15 minuti in cui viene decisa la sorte di una persona che conosce già la sua sentenza definitiva.

Perché, anche se il caso deve essere ulteriormente analizzato dalla Corte Suprema e la sentenza può essere impugnata, gli avvocati d’ufficio diventano introvabili. Il padre di Karami, non ricevendo risposta, ha cercato di assumere uno dei più importanti avvocati per i diritti umani dell’Iran, Mohammad Hossein Aghasi. Il legale ha scritto al tribunale locale e poi alla Corte Suprema, ma le sue richieste sono state ignorate o respinte. E il ricorso è stato escluso da un giudice.

Di solito, spiega la Bbc, dopo un’esecuzione le autorità minacciano i familiari degli imputati affinché rimangano in silenzio su quanto accaduto. Ma sul quotidiano locale Etemad sono comparse le parole di Karami, riportate dal padre Mashaalah, che l’aveva sentito al telefono il giorno in cui era stato condannato a morte: «Papà, ci hanno dato il verdetto. Il mio è pena di morte. Non dire niente a mamma».

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