Diritti

Davood Karimi: «Vogliamo essere il megafono delle piazze iraniane»

Lo ha dichiarato a La Svolta il presidente dell’associazione Rifugiati Politici Iraniani residenti in Italia. «Secondo i dati a nostra disposizione i morti sarebbero oltre 750, 30.000 gli arrestati e 6.000 gli scomparsi»
Davood Karimi
Davood Karimi
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12 gennaio 2023 Aggiornato alle 18:00

Continuano ad arrivare drammatiche notizie dall’Iran dove si moltiplicano esecuzioni sommarie, sparizioni e torture contro chi si oppone al regime. Domenica 8 gennaio, centinaia di manifestanti si sono radunati davanti alla prigione di Rajai Shahr, nella città di Karaj, per impedire l’impiccagione di 2 giovani. Al momento sembra che l’esecuzione sia stata sospesa mentre le condanne proseguono senza sosta: secondo i familiari dell’ex vice ministro della Difesa Alireza Akbari, la sua esecuzione è imminente mentre ieri l’attivista belga Olivier Vandecasteele, accusato di spionaggio, riciclaggio e collaborazione con gli Stati Uniti, è stato condannato a 40 anni di carcere.

Nel frattempo si muove la politica italiana. Ieri si è costituito in Senato il Comitato per un Iran libero, con l’obiettivo di promuovere iniziative parlamentari per l’affermazione della democrazia e della libertà a sostegno degli iraniani. “Il Comitato - riporta Ansa - propone un campo d’azione più ampio rispetto ai tradizionali canali diplomatici da attuare in primis con atti di impulso legislativo per attirare l’attenzione sugli abusi commessi dal regime iraniano e per sollecitare una presa di responsabilità da parte degli organi internazionali a partire dalle competenti sedi onusiane ed europee”.

Sergio Mattarella, inoltre, ha ricevuto il nuovo Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran, Mohammad Reza Sabouri. Durante il colloquio, il Presidente ha ribadito “la ferma condanna della Repubblica Italiana e la sua personale indignazione per la brutale repressione delle manifestazioni e per le condanne a morte e l’esecuzione di molti dimostranti”, si legge in una nota del Quirinale.

L’incredibile recrudescenza della repressione a opera del regime contro migliaia di ragazze e ragazzi, donne e uomini, finanche bambini, con un tasso altissimo di violenza esibita mediaticamente da custodi dell’ortodossia politico-religiosa apparentemente incuranti delle reazioni internazionali, segna un punto di non ritorno nel rapporto tra il popolo iraniano e i suoi governanti. Per avere un quadro della situazione nel Paese e capire come le comunità diasporiche iraniane si stiano muovendo, all’indomani della consegna di 300.000 firme all’ambasciata di Roma (un’iniziativa lanciata da Massimo Giannini e La Stampa) e una serie di manifestazioni in appoggio alle rivolte, La Svolta ha ascoltato Davood Karimi, presidente dell’associazione Rifugiati Politici Iraniani residenti in Italia.

Cominciamo dalla vostra presenza nel nostro Paese, a quanto ammonta la comunità iraniana in Italia?

In tutto siamo all’incirca 10.000, di questi più o meno il 30% sono riconosciuti rifugiati politici. Credo però che gli attivisti in esilio in Italia siano intorno a un migliaio.

Che notizie ricevete?

Una delle nostre fonti principali è rappresentata dal canale Simaye Azadi, il canale che aggiorna sulle manifestazioni e le rivolte che avvengono in Iran. Le posso dire (mostra lo schermo acceso sul canale basato a Parigi che trasmette immagini riprese da attivisti in Iran, ndr) che al momento (il 9 gennaio mattina, ndr) c’è una manifestazione a Teheran nel quartiere di Ekbatan e che dal 16 settembre (giorno in cui, a seguito della morte delle ventiduenne Mahsa Amini, arrestata a Tehran 3 giorni prima dalla polizia religiosa perché non indossava come previsto dalla legge l’hijab, iniziarono le rivolte anti-regime, ndr) le manifestazioni non si sono mai interrotte. Le città coinvolte fin qui sono 280. Secondo i dati a nostra disposizione i morti sarebbero oltre 750 di cui 627 identificati (compresi 69 minorenni con nominativi e foto in età compresa tra i 2 e i 18 anni), 30.000 gli arrestati e 6.000 gli scomparsi.

In altri momenti abbiamo assistito a forme molto gravi di repressione in Iran. Sembra però che un tale livello di recrudescenza, con violenze anche su bambini esibite mentre tutto il mondo sta a guardare, non fosse mai stato raggiunto. Come mai secondo lei?

È possibile che il regime senta che potrebbe arrivare la fine. Inoltre, le risorse, allocate in gran parte da decenni al riarmo nucleare, a finanziare gruppi come Hamas o Hezbollah e a reprimere, probabilmente si stanno esaurendo, non si dimentichi delle sanzioni che gravano in modo molto pesante sul regime. Assieme alle risorse economiche, poi, vanno esaurendosi anche quelle politiche e sociali, il regime ha ormai perso molta credibilità verso il popolo, in modo trasversale: le manifestazioni avvengono in ogni quartiere di Teheran o in ogni città del Paese, in aree ricche così come povere, in zone più o meno religiose, in ogni contesto sociale. Il popolo reclama in modo trasversale la libertà mentre una fetta sempre più grande della popolazione ha fame. Le pagine dei giornali sono piene zeppe di annunci di individui pronti a vendersi parti del corpo pur di sfamare se stessi e le famiglia. Secondo i nostri dati, l’80% vive sotto la soglia di povertà. Per tutti questi motivi, possiamo affermare che una rivolta così continuativa e trasversale non si era mai avverata.

Come si sta mobilitando la comunità della diaspora?

Vogliamo essere il megafono delle piazze iraniane. Lo scorso 8 gennaio abbiamo consegnato 300.000 firme e mostrato all’ambasciatore qui in Italia che molti cittadini italiani chiedono il rispetto dei diritti, organizziamo manifestazioni nei Paesi in cui risediamo e cerchiamo di sostenere un movimento che protesta senza usare armi e chiede democrazia e libertà e un riconoscimento politico.

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