Diritti

Gli iraniani protestano per fermare le esecuzioni

Domenica centinaia di manifestanti si sono radunati davanti alla prigione di Rajai Shahr, nella città di Karaj, per impedire l’impiccagione di 2 giovani. Per ora, sembra ci siano riusciti
Attivisti iraniani durante una protesta a Piccadilly Circus
Attivisti iraniani durante una protesta a Piccadilly Circus Credit: Tayfun Salci/ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 gennaio 2023 Aggiornato alle 18:00

Nella notte tra domenica e lunedì, quando in decine di città dell’Iran si svolgevano le prime proteste dell’anno, centinaia di persone si riunivano davanti alla prigione di Rajaei-Shahr a Karaj, a ovest di Teheran, per impedire l’impiccagione di 2 giovani iraniani.

“Ieri sera circolavano voci, nei media anti-rivoluzionari, che sostenevano che le esecuzioni di Mohammad Ghobadlou e Mohammad Brughni, i condannati per le recenti rivolte, erano sul punto di essere compiute. Questo ha spinto un piccolo numero, tra cui la famiglia di Ghobadlou, a riunirsi davanti alla prigione di Rajai Shahr”: è così che l’agenzia della magistratura iraniana Mizan ha descritto le dimostrazioni di dissenso che avrebbero bloccato l’impiccagione del ventiduenne accusato di aver investito e ucciso un agente di polizia, e del suo compagno di prigionia Boroughani, di soli 19 anni, ritenuto colpevole di aver impugnato un machete e di aver incendiato l’edificio di una prefettura durante le proteste. L’agenzia sottolinea che non si è trattato di “una battuta d’arresto”, ma “l’esecuzione delle sentenze di questi condannati in questo momento non era all’ordine del giorno a causa della mancanza di un giusto processo”.

I 2 giovani erano stati trasferiti in isolamento in previsione dell’esecuzione in pubblico: secondo gli attivisti per i diritti umani, la protesta, scoppiata dopo la diffusione di questa notizia, avrebbe temporaneamente evitato la loro uccisione, che non è ancora stata programmata. Come riporta la Bbc, il collettivo di attivisti 1500 Tasvir, attivo su Twitter, ha pubblicato alcuni video che mostrano la folla che intona cori contro le autorità: “Ucciderò chi ha ucciso mio fratello” e “Questo è l’ultimo avvertimento. Se li giustizi ci sarà una rivolta”.

La madre di Ghobadlou, condannato a morte dalla Corte Suprema il 24 dicembre per “corruzione sulla Terra”, ha chiesto la clemenza per suo figlio, affetto da disturbi bipolari: in un filmato fuori dalla prigione, racconta alla folla che 50 medici avevano firmato una petizione che chiedeva al capo della magistratura di istituire un comitato per esaminare la salute mentale di suo figlio. Eppure, lo psichiatra dell’Organizzazione di medicina legale incaricato di giudicare la sua condotta ha ritenuto il suo comportamento “criminale, mirato e ragionato”. Secondo Amnesty International, il ragazzo sarebbe stato processato senza l’avvocato che aveva prescelto, e accusato sulla base di prove falsate. Anche il giovane Boroughani, condannato per “inimicizia contro Dio”, sarebbe stato giudicato colpevole in un procedimento tutt’altro che regolare.

Sabato scorso 2 manifestanti sono stati impiccati per aver preso parte alle proteste contro il regime e per la presunta uccisione di Seyed Ruhollah Ajamian, un membro della forza paramilitare Basij del Paese, a Karaj. Si chiamavano Mohammad Mehdi Karami (21 anni, campione nazionale di karate vincitore di diversi titoli) e Seyed Mohammad Hosseini (20 anni, ricordato per le sue attività di volontariato). Avevano presentato un ricorso contro le loro condanne perché dicevano di essere stati torturati, ma la Corte Suprema ha confermato la sentenza di morte il 3 gennaio. Dopo l’impiccagione della coppia, il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che le esecuzioni equivalgono a «uccisioni autorizzate dallo Stato». L’Unione Europea ha esortato l’Iran a sospendere tutte le esecuzioni “a seguito di processi iniqui basati su confessioni forzate”.

Dalla morte di Mahsa Amini sotto la custodia della polizia morale le esecuzioni note sono salite a 4 (i primi a subire l’impiccagione sono stati Majidreza Rahnavard e Mohsen Shekar, a dicembre). Secondo l’agenzia di stampa Hrana ci sarebbero 111 persone a rischio imminente di esecuzione, anche se i dati diffusi dai funzionari e dai media iraniani ne citano 41.

Durante i disordini sarebbero stati uccisi 519 manifestanti e 68 membri del personale di sicurezza. Secondo gli attivisti, sarebbero più di 19.000 gli arrestati. Tra queste, Faezeh Hashemi, ex parlamentare e figlia dell’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani, condannata di recente a 5 anni di carcere per aver criticato il regime. La sua avvocata, Neda Shams, ha scritto su Twitter che il verdetto “non è definitivo”. Come non lo è, ancora, quello dei 3 manifestanti Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi e Saeid Yaghoubi, condannati a morte con l’accusa di aver ucciso membri della milizia volontaria Basij. Secondo Mizan, potranno appellarsi contro i verdetti.

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