Diritti

Gli iraniani non sono al sicuro neanche all’estero

Il file audio della telefonata tra l’attivista Massi Kamari, rifugiata in Francia, e un agente di sicurezza rivela come il regime islamico sorvegli e minacci anche i cittadini fuggiti dal Paese
A dicembre 2022, gli attivisti iraniani hanno organizzato una manifestazione di solidarietà a Piccadilly Circus
A dicembre 2022, gli attivisti iraniani hanno organizzato una manifestazione di solidarietà a Piccadilly Circus Credit: Tayfun Salci/ZUMA Press Wire
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9 febbraio 2023 Aggiornato alle 09:00

“Un’azione contro la Repubblica islamica e contro la sicurezza dell’Iran”. Con queste parole è stata definita la partecipazione di Massi Kamari - attivista iraniana 42enne e rifugiata politica in Francia dal 2018 - alle proteste francesi contro il regime iraniano.

È il 3 gennaio quando a Kamari arriva un messaggio su WhatsApp dal cellulare della madre, invitandola a contattare un numero di telefono. Lei chiama facendo registrare la telefonata da un amico. All’altro capo del telefono risponde un agente di sicurezza della Repubblica islamica, che si presenta come un agente del Ministero dell’Intelligence.

Il file audio della telefonata, diffuso da Voa Farsi il 5 Gennaio, successivamente pubblicato da LePoint e ricondiviso tramite i social network, svela come il regime spii e controlli tutti i cittadini iraniani, anche quelli che da anni risiedono all’estero. Nelle prime parti della telefonata si sente l’agente che, con tono minaccioso, ordina a Kamari di smettere di partecipare alle manifestazioni ed esprimere il proprio dissenso, in quanto si tratta di “un’azione contro la Repubblica islamica”.

L’agente intima l’attivista che se non farà ciò che le viene detto i suoi genitori e i membri della sua famiglia verranno rinchiusi nel carcere di Evin a Teheran (prigione dove vengono detenuti gli oppositori). Nonostante Massi Kamari si trovi in Francia e possa, essendo fuori dalla legislazione dell’Iran, manifestare liberamente, il poliziotto prosegue con le minacce.

«Ho la prova di quello che dico ed esiste un fascicolo. Sulla tua pagina Instagram scrivi post con l’intento di far cadere la Repubblica islamica e incoraggiare il popolo iraniano a compiere azioni contro la sicurezza di questo Paese». Il profilo Instagram di Kamari è privato e solo i suoi follower possono vedere cosa pubblica, ma l’agente è comunque riuscito a entrare ed è in grado di vedere i suoi post.

Massi Kamari non è l’unica iraniana espatriata ad aver subito questo trattamento repressivo: tramite l’associazione apolitica HamAva - coalizione nazionale per un Iran democratico e laico, di cui fa parte - ha comunicato quanto accaduto alla Presidenza della Repubblica Francese, alla Prima Ministra Elisabeth Borne e a Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione Europea.

Nella lettera di denuncia del 6 Gennaio, intitolata Minacce e repressione di cittadini francesi in Francia da parte di rappresentanti della Repubblica islamica, si legge che sono ben 7 i membri dell’associazione HamAva, residenti in Francia e in Europa, a essere stati contattati e minacciati da Guardie rivoluzionarie e da membri del Governo. Gli agenti del regime hanno fatto intendere agli attivisti che, se non smetteranno di protestare, le loro azioni si ritorceranno verso le famiglie rimaste in Iran.

Nel caso di Massi Kamari, a esempio, l’agente di sicurezza durante la telefonata ha insinuato che l’attivista riceva denaro dal padre: fatto, questo, che renderebbe il padre complice delle sue rimostranze “contro la Repubblica islamica”. Un’accusa da cui Kamari si è sganciata dichiarando che non è sostenuta economicamente dalla sua famiglia e che nessuna persona pagherà per le sue scelte e azioni individuali, avvenute tra l’altro in un Paese democratico in cui manifestare è consentito. Una risposta che non è piaciuta all’agente che ha continuato con le intimidazioni.

L’esperienza vissuta da Kamari e dagli altri membri di HamAva rivela che le strategie di oppressione messe in atto dalla dittatura iraniana valicano i confini nazionali, per essere esercitate anche in altri territori, come a esempio quello europeo e francese. Tramite un’insistente pressione, psicologica il regime e i suoi agenti cercano di incutere paura sugli iraniani all’estero.

Non è raro infatti che la Repubblica islamica minacci gli iraniani che sono cittadini o rifugiati all’estero, a volte attentando anche alla loro vita. Fine luglio 2022: un ragazzo di 23 anni, Khalid Mehdiyev, viene visto aggirarsi con fare sospetto a Brooklyn, nelle vicinanze della casa di Masih Alinejad, giornalista dissidente e fuggita dall’Iran nel 2009. A seguito dell’ispezione della polizia, avvenuta per un infrazione stradale, nel Suv di Mehdiyev viene rinvenuto un fucile d’assalto AK-47, munizioni e 1.100 dollari in contanti.

Verso la fine del 2022, a essere nel mirino del regime, in particolare dell’Irgc (The Islamic Revolutionary Guard Corps), sono invece 2 giornalisti di Iran International, canale di notizie indipendente in lingua farsi con sede nel Regno Unito. Come si legge nella dichiarazione diffusa dal giornale, “la Polizia Metropolitana ha notificato che queste minacce hanno rappresentato un rischio imminente, credibile e significativo per la vita dei giornalisti e quella delle loro famiglie”.

La lista degli oppositori che sono state vittime di attacchi, sia verbali che fisici, da parte della Repubblica islamica è molto lunga e, come ci rivelano questi casi, non importa dove si trovino. Il regime monitora e cerca di silenziare gli iraniani anche dopo che sono fuggiti dall’Iran, come se queste persone, e la loro vita, fossero sue proprietà.

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