Diritti

L’Iran continua a giustiziare gli oppositori

Al momento gli attivisti uccisi sono due ma su tanti altri pendono condanne a morte che potrebbero essere eseguite da un momento all’altro. Nel mirino anche rapper e calciatori
Credit: © Stephen Shaver/ZUMA Press Wire
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
15 dicembre 2022 Aggiornato alle 07:00

Non si ferma la lunga scia di sangue in Iran dove, come ampiamente prevedibile, la fantomatica abolizione della polizia morale non è valsa a nulla se non a inasprire la repressione contro i manifestanti.

Dallo scorso settembre, quando tutto è cominciato dopo la morte di Masha Amini, sono migliaia le arrestate e gli arrestati di cui non si hanno più notizie e tantissimi i condannati a morte che attendono solo che sentenza venga eseguita. Tra di loro due sono già stati giustiziati, anche se il bilancio è purtroppo provvisorio e destinato ad ampliarsi di minuto in minuto.

L’ultimo in ordine di tempo si chiamava Majidreza Rahnavard, arrestato il 17 novembre e condannato il 29 con l’accusa di aver accoltellato due membri della forza paramilitare durante una manifestazione anti governativa e averne feriti altri quattro.

Rahnavard è il secondo manifestante giustiziato, dopo il 23enne Mohsen Shekari, impiccato a Teheran per aver bloccato una strada della capitale e ferito un paramilitare durante le proteste. Muharebeh, guerra contro Dio, l’accusa ufficiale che dopo un processo sommario e di fatto fittizio lo ha condotto alla morte.

Rischiava la stessa fine ma potrebbe salvarsi Sedarat Madani. La sua impiccagione era fissata per domenica 11 dicembre ma il perdono avvenuto via Twitter da parte del suo accusatore, l’agente Mohammad Reza Qonbartalib, avrebbe determinato la sospensione della pena.

Vita appesa a un filo, invece, per molti rapper. Yasin, nome d’arte di Saman Seyedi, da metà ottobre è nel carcere di Evin dopo aver partecipato alle proteste ed essere diventato, attraverso i suoi brani, la voce della rivolta insieme ad altri colleghi che adesso ne condividono la sorte, come il 32enne Toomaj Salehi, accusato di crimini contro la sicurezza e corruzione sulla terra per aver fatto dei propri canali social piattaforme di organizzazione per il movimento pro-democrazia.

Anche i calciatori potrebbero essere nel mirino. Dopo la fine dell’avventura mondiale in molti si sono chiesti che fine abbiano fatto quelli della Nazionale, che rifiutandosi di cantare l’inno durante la partita contro l’Inghilterra avevano espressamente dichiarato la loro opposizione al regime.

Nonostante le poche notizie al riguardo pare siano tutti al momento al sicuro. I più forti non giocano in patria ma in squadre europee, e dopo l’esperienza in Qatar sono tornati ad allenarsi con i rispettivi club senza particolari ripercussioni. È il caso dell’attaccante del Porto Mehdi Taremi, di Saman Ghoddos che milita nel Brentford (Premier League inglese), di Sardar Azmoun in rosa al Bayern Leverkusen (Germania), di Amir Abedzadeh al Ponferradina (Segunda Liga spagnola) e di Ali Karimi jr che è rientrato in Turchia, dove gioca per il Kayserispor.

Abolfazl Jalali, Rouzbeh Cheshmi e Hossein Hosseini hanno invece ripreso ad allenarsi a Teheran con l’Esteghlal, ma anche attorno a loro il clima risulta piuttosto sereno, probabilmente perché considerati troppo noti e quindi intoccabili a causa del potenziale eco che la stampa e l’opinione pubblica internazionale riserverebbe loro in caso di epiloghi drammatici.

Se i big sembrano dunque poter stare moderatamente tranquilli, non vale lo stesso per Amir Nasr Azadani, un altro calciatore che pur non avendo indossato la maglia della Nazionale, è molto noto in patria grazie alla sua lunga carriera nella serie A locale.

Durante il Mondiale non è sceso in campo ma in piazza e questo gli è valso l’incarcerazione prima e la condanna a morte poi, con l’accusa di tradimento e di essere un membro di un gruppo armato e organizzato che opera per colpire la sicurezza della Repubblica islamica dell’Iran. Appartenenza sulla quale vigono molti dubbi.

Alla luce di questo scenario la lista degli attivisti uccisi è con ogni probabilità sarà presto aggiornata. A nulla infatti sono valse fino a ora le condanne delle Nazioni Unite, dei governi occidentali e di Amnesty International e l’ayatollah Khomeini non sembra minimamente intenzionato a fermarsi, nonostante le esecuzioni non abbiano sortito l’effetto da lui sperato di smorzare le proteste ma, anzi, stiano dando nova forza a un popolo che non intende più piegare la testa.

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