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Smartphone a scuola: opportunità, rischio o entrambi?

I device sono qui per restare. Bandire o normalizzare? Abbiamo cercato di capire quale sia la strada migliore da seguire in classe con Ivana Barbacci di Cisl Scuola e Francesca Morpurgo, esperta di nuove tecnologie
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
7 febbraio 2023 Aggiornato alle 14:00

Si chiama “Smartphone al muro” l’iniziativa lanciata dall’Istituto professionale Luigi Einaudi di Ferrara: consiste nel depositare il proprio telefono in una sacca per recuperarlo, poi, a fine lezione.

È solo una delle tante idee che, in tutta Italia, puntano a lasciare i cellulari fuori dall’aula e ridurre le distrazioni.

Sembrerebbe una cosa semplice da mettere in atto, ma si tratta ormai di dispositivi talmente pervasivi e integrati nella nostra quotidianità, che non è così facile separarsene: né per gli adulti, né per i bambini. Nemmeno a scuola.

«La pandemia ha determinato una brusca accelerazione nell’utilizzo delle nuove tecnologie anche a scuola. Prima dell’emergenza sanitaria, gli strumenti digitali erano confinati ai momenti perlopiù di svago o gioco dei ragazzi. Il Covid-19 ha condotto a un punto di non ritorno tra il prima e il dopo: ha fatto entrare, per necessità, lo strumento digitale nella didattica. Non solo per fruire di contenuti e materiali, ma anche per mantenere contatti e relazioni con insegnanti e compagni», ha spiegato a La Svolta Ivana Barbacci, Segretaria nazionale Cisl Scuola.

Una circolare del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, diffusa a ridosso delle vacanze natalizie, ha chiesto un impegno maggiore alle istituzioni scolastiche e ha ribadito il divieto dei cellulari in classe se non per finalità didattiche. Nulla di nuovo sotto il sole: si tratta di un’indicazione che esiste dal 2007, contenuta nella direttiva ministeriale 104 del 30 novembre dello stesso anno.

Secondo un’indagine di Studenti.it condotta su un campione di 700 studenti, lo smartphone viene ritirato all’entrata e restituito all’uscita solo nel 26% delle scuole, perlopiù con la classica scatola di cartone sulla cattedra.

La circolare ministeriale non prevede ovviamente sanzioni per l’uso degli smartphone. Il documento fa appello più che altro al “senso di responsabilità” di docenti e alunni. Ma vi è un invito indiretto rivolto agli istituti a rivedere i propri regolamenti interni.

Impresa tutt’altro che semplice se si pensa che in Italia l’85% degli adolescenti tra 11 e 17 anni usa quotidianamente lo smartphone e il 72% naviga online tutti i giorni. In media, la maggior parte degli adolescenti trascorre dalle 3 alle 6 ore al giorno impegnato sul telefono. Un lasso di tempo troppo lungo per non comprendere anche le ore di lezione.

Il tempo trascorso si abbassa leggermente in preadolescenza, tra gli 11 e i 13 anni, quando genitori e docenti riescono ancora a tenere sotto controllo modalità e tempi d’uso.

«I nuovi device, le chatroom, le chiamate di gruppo sono strumenti da cui non possiamo più prescindere. Si è sviluppato un vero e proprio linguaggio parallelo, rispetto a quello tradizionale: è un cambiamento che fa parte della Storia della civiltà», continua Barbacci. «È normale che nello sperimentare la didattica a distanza ci siano state delle storture e anche delle involuzioni, che per colmare dei vuoti, dati dall’isolamento e dalle restrizioni, se ne siano creati degli altri, soprattutto rispetto alle relazioni interpersonali”.

Francesca Morpurgo, Consigliera Municipale per la lista Roma Futura Femminista Egualitaria Ecologista, in passato si è occupata di internet marketing, nuove tecnologie e intelligenza artificiale. «Le informazioni a cui si ha accesso sono potenzialmente illimitate, ma l’attenzione è discontinua, distratta, priva approfondimento. È un cambiamento che riscontro persino nei libri di testo: non sono come i vecchi manuali. Le pagine si dividono in minuscoli paragrafi, tabelle, decine di immagini. Tutto sembra studiato per tenere agganciato lo studente, proprio come accade nei blog online. Anche il cartaceo è influenzato dalle modalità di fruizione digitale».

«Naturalmente è un linguaggio che va governato» incalza Barbacci, «Deve sussistere un certo grado di consapevolezza tra gli adulti nell’introdurre questi strumenti e nell’educare i bambini e i ragazzi al loro utilizzo. La scuola, gli insegnanti e i genitori hanno una grande responsabilità in questo senso: devono sempre affiancare al digitale esperienze interpersonali, devono far uscire i bambini dalle loro stanze, spingerli a intraprendere sport, attività all’aria aperta, laboratori teatrali». E aggiunge: «Vietare in assoluto l’utilizzo del cellulare o del tablet a scuola è anacronistico: la scelta più giusta è normalizzare l’uso di questi strumenti anche in aula, mostrare ai ragazzi i lati più utili e positivi dei dispositivi digitali per ricerche, video divulgativi, vocabolari online».

C’è poi la piaga del digital gap, il divario tra chi ha a disposizione device digitali e chi invece non ha le stesse opportunità. Secondo l’indice per la digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) 2022, nonostante i notevoli progressi, l’Italia si colloca ancora al 18esimo posto fra i 27 Stati membri dell’Ue.

Un aiuto in questo senso arriva dal Pnrr: nel complesso, sono 4.9 miliardi le risorse mobilitate dal Piano ripresa e resilienza. Tanti e vari gli interventi previsti: si va dagli 800 milioni per la formazione dei docenti nella didattica digitale integrata ai 445 per il potenziamento delle reti locali, cablate e wireless delle scuole. Poi ci sono i 455 milioni per gli schermi interattivi nelle aule e i 99 per la creazione di ambienti Stem.

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