Bambini

Figli e device? Sì, ma non sono babysitter

Mickol Lopez di Guida Senza Patente e il dottor Marco Longo provano a spiegare a La Svolta il complicatissimo rapporto che si crea tra bambini e tecnologia: il dialogo con i genitori è fondamentale
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
31 gennaio 2023 Aggiornato alle 11:00

Non tenere il telefono a tavola”, “Puoi guardarmi mentre ti parlo, invece di fissare lo schermo?”, “Passi più tempo con il cellulare che con la tua famiglia”.

Nel breviario dei rimproveri del buon genitore queste sono solo alcune delle frasi più inflazionate. La tecnologia, l’accesso a Internet, l’uso quotidiano di smartphone, tablet e pc hanno cambiato per sempre il già complicatissimo rapporto genitori-figli.

Non a caso l’espressione coniata dallo scrittore statunitense Marc Prensky, “nativi digitali”, sta a indicare proprio quella generazione di ragazzi nati e cresciuti a stretto contatto con i device e i mezzi di comunicazione digitali, dai blog fino ai social network del momento.

Basti considerare che dal 2019 a oggi, complici la pandemia, la chiusura prolungata delle scuole e l’isolamento, è raddoppiato il numero dei bambini che a 10 anni è già in possesso di uno smartphone a uso esclusivo e personale.

La sfida dei genitori di oggi è quindi a dir poco titanica. Affrontare e gestire dinamiche, conseguenze e complicazioni mai vissute prima nel rapporto con i bambini e i ragazzi.

Per i più piccoli, i device finiscono molto spesso per fare le veci di un vero e proprio babysitter, meno dispendioso e personalizzabile. Secondo l’indagine condotta dalle associazioni di pediatri Acp, Fimp e Sip, 1 famiglia su 4 con bambini nella fascia 0-2 anni e 1 su 5 con bambini nella fascia 3-5 anni, ricorre alle ninne nanne riprodotte dagli assistenti vocali per far addormentare i figli.

Per non parlare dei momenti di svago o gioco: il 35% dei genitori di bambini tra 0 e 2 anni affida ai device il compito di leggere le fiabe ai figli, percentuale che arriva all’80% nella fascia 3-5 anni.

Come spiega a La Svolta Marco Longo, medico specialista in psicologia clinica e esperto di psicotecnologie (uso e abuso del digitale), «La mente umana si modella, sin dai primissimi anni di vita, sulla base delle persone e degli oggetti che incontriamo. I device digitali condizionano inevitabilmente lo sviluppo cognitivo del bambino, ma i loro effetti variano soprattutto in base al tipo di utilizzo che se ne fa. Un bambino abituato a servirsene molto costruirà i propri modelli relazionali sulla base di ciò che incontra, spesso in maniera casuale, navigando su internet, scrollando le homepage dei social network. Invece di applicare capacità di ascolto e interazione, come in una relazione sana e attiva con le altre persone, lo farà assorbendo tutto passivamente».

Non esiste un manuale dei genitori digitali purtroppo, «ovviamente si tratta di delicati equilibri che variano da famiglia a famiglia», commenta Mickol Lopez. Lei e il marito Daniele Marzano hanno aperto la pagina Guida Senza Patente che in tono leggero e ironico si propone di fare divulgazione sui temi della genitorialità.

In generale, l’osservatorio avviato dai pediatri - in collaborazione con Meta e Fondazione Carolina - fa emergere un quadro allarmante: una scarsa consapevolezza da parte degli adulti e una generalizzata condizione di solitudine dei bambini. Se nella fascia 0-2 anni, il 26% delle famiglie consente ai figli di utilizzare i dispositivi da soli, la percentuale sale in proporzione all’età: al 62% dai 3-5 anni, all’82% nella fascia 6-10 anni, fino al 95% tra gli 11 e i 15 anni.

«Molti genitori sono informati e coscienti dei rischi che questa esposizione prolungata e intensa comporta - commenta Longo - ma ce ne sono tanti altri che che tendono a sottovalutare, e a utilizzare smartphone e tablet quasi come dei babysitter, per far giocare e tenere buoni i figli, anche piccolissimi. Si tratta di un comportamento molto scorretto, compiuto perlopiù per egoismo, per poter parlare o chattare con altre persone, conversare tranquillamente al ristorante o in auto».

Rispetto all’aumento dei disturbi da deficit dell’attenzione, dell’ansia e di sindromi depressive, «Non credo possano ricollegare all’uso dei device. Casomai questa maggiore incidenza dipende dalle relazioni sempre più rarefatte con i genitori, a causa anche delle fitte routine di tutti (sia dei figli che dei genitori stessi), della tendenza a seguire modelli di stili di vita sempre più ambiziosi e narcisistici, basati sulla esibizione esterna (piuttosto che sull’integrazione interna), ma anche da certe dinamiche di inclusione o esclusione dei gruppi preadolescenziali e adolescenziali».

«La soluzione certamente però - continua Lopez - non è impedire loro di usarli, ma affrontare sin dai primi anni l’educazione digitale al pari dell’educazione civica o sessuale. Il segreto penso sia seminare ora, perché prima o poi, oggi più prima che poi, il proprio figlio si ritroverà comunque con uno strumento tecnologico in mano».

Oltre ad avere un atteggiamento di apertura rispetto agli strumenti digitali, potrebbe aiutare interessarsi ai contenuti che i bambini guardano sui loro device. Una buona tattica, in questo senso, potrebbe essere quella di incentivare il più possibile l’utilizzo di device condivisi, come per esempio la televisione.

«I nostri bambini quando guardano Youtube lo fanno dalla Tv e per questo motivo abbiamo sempre un certo controllo su ciò guardano - spiega Mickol Lopez - Se notiamo che il famoso algoritmo sta virando verso contenuti non adatti, interveniamo. I bambini conoscono a grandi linee le strategie di marketing che si celano dietro la selezione dei video dell’homepage Youtube: sanno che l’obiettivo della piattaforma è che gli utenti trascorrano più tempo possibile tra un video e l’altro, perché gli youtuber vengono pagati in base alle pubblicità visualizzate. Anche per una persona che è all’oscuro di questi meccanismi, interessarsi, capire cosa piace di più al bambino e ascoltarlo sono i primi passi per avere sempre sotto controllo la situazione. Il bimbo molto spesso desidera raccontare e condividere ciò che guarda, ma siamo noi genitori a essere sempre presi da altro o disattenti - e aggiunge ridendo - Per quanto il racconto dettagliato delle caratteristiche dei Pokemon possa sembrare noioso, è fondamentale informarsi, non dare nulla per scontato e incoraggiare il bambino a comunicare con noi».

«Stabilire delle regole non è semplice, ma i genitori devono partire da un esame di coscienza e cercare di riappropriarsi del rapporto i loro figli - sostiene il dottor Longo - Molto spesso loro stessi manifestano un rapporto morboso e ossessivo con i nuovi strumenti digitali e se si pensa che l’apprendimento dei bambini avviene quasi completamente per imitazione si comprende l’enorme impatto che un genitore dipendente dalla tecnologia può avere sul proprio figlio. Non è un caso che Steve Jobs, Bill Gates e tanti altri pionieri del mondo digitale abbiano limitato enormemente o addirittura impedito ai figli di utilizzare strumenti tecnologici almeno fino ai 14 o 16 anni».

«In quanto content creator - ci tiene a sottolineare Lopez - i device sono parte integrante della nostra quotidianità, non si limitano a essere un passatempo. Ecco, io e Daniele abbiamo deciso di rendere i nostri bambini pienamente consapevoli del nostro lavoro sui social network».

In merito al delicato e controverso argomento dell’esposizione dei bambini sui profili social degli adulti, «ci siamo dati delle regole: quelle che filmiamo sono scene naturali, non li mettiamo mai in condizione di dover recitare, a meno che non diventi un gioco anche per loro e recitare in quel caso faccia parte del gioco. In generale, cerchiamo sempre di essere molto attenti alla loro privacy: il web ha la memoria lunga ed evitiamo qualsiasi contenuto, oggi innocente o tenero, che in futuro potrebbe essere oggetto di scherno durante l’adolescenza».

Leggi anche
Tecnologia
di Caterina Tarquini 4 min lettura
Social Network
di Giovanni Calderone 3 min lettura