Ambiente

Fusione nucleare: a quando l’applicazione in ambito civile?

Le novità dagli Usa riguardano l’ambito militare, come ha spiegato alla Svolta Roberto Zanino, professore del Politecnico di Torino. Che ci ha raccontato i segreti di questa fonte di energia
Credit: ANSA/Lawrence Livermore National Laboratory

Ll’obiettivo della ricerca riguardo la fusione nucleare a scopo civile è padroneggiare il processo che si verifica nelle stelle e riprodurlo sulla Terra per generare elettricità, quasi illimitata, a basso impatto ambientale, senza emissione di CO2. A spiegarlo ai microfoni della Svolta è Roberto Zanino, professore ordinario al Politecnico di Torino, presso il Dipartimento Energia – Denerg, che da anni lavora sulla fusione nucleare a confinamento magnetico. Nel corso dell’ultima edizione della Biennale Tecnologia, che ha visto protagonista l’energia e l’intervento di Nassim Nicholas Taleb, il professore ha partecipato al dibattito Presente e futuro dell’energia.

Zanino ha spiegato che questo tipo di energia è molto più sostenibile della produzione di energia da fissione nucleare ovvero la reazione oggi utilizzata dalle centrali nucleari esistenti, grazie al fatto che non vengono prodotte scorie nucleari a lunga vita. La reazione, a differenza della fissione, non può sfuggire al controllo innescando un processo “senza fine” ma tende a spegnersi se non ben accudita.

L’evoluzione della ricerca sulla fusione nucleare in ambito civile

Nel consorzio Eurofusion, in cui sono coinvolti diversi gruppi di ricerca tra cui il gruppo Nucelar Engineering MOdelling - Nemo che coordinato dal professore, una parte della ricerca è concentrata sul progetto della macchina (Demo) che, nei piani europei, dovrebbe essere il primo dimostratore di produzione di energia elettrica, quindi di produzione di chilowattora da immettere nella rete commerciale, a partire dalla fusione nucleare.

Demo dovrebbe essere il punto di arrivo di un percorso di ricerca, iniziato negli anni ’90, che ha le basi nell’esperienza pluridecennale di un progetto di cooperazione europea: Joint European Torus - Jet, la macchina (l’unica ancora operante ad aver bruciato una miscela deuterio-trizio) che si trova nel Culham Centre Fusion Energy – Ccfe, il laboratorio nazionale del Regno Unito per la ricerca sulla fusione.

L’evoluzione della ricerca su Jet ha permesso di iniziare la costruzione di una macchina più performante: Iter. Lo scopo di Iter, in costruzione a Cadarache (Francia) è produrre circa 500 Mw di potenza termica, la potenza equivalente di una centrale a carbone di medie dimensioni, con un fattore di amplificazione, cioè di guadagno, dell’energia di 5-10.

Un ulteriore passo in avanti della ricerca dopo Iter è Demo: si passerà da una ricerca in laboratorio a un programma guidato dall’industria e dalla tecnologia, con lo scopo di produrre energia elettrica dalla fusione nucleare da immettere nella rete elettrica commerciale.

Per questo esiste Fusion for energy – F4E: l’organizzazione che gestisce il contributo dell’Unione europea al progetto Iter finalizzato a dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione.

Un elemento di congiunzione tra Iter e Demo, che vede sempre la collaborazione del PoliTo con il coordinamento del professor Zanino, è il progetto Divertor Tokamak Test facility – Dtt, legato alla costruzione, attualmente in corso a Frascati, di un tokamak superconduttore con lo scopo di proporre soluzioni al «problema dello smaltimento del carico termico».

Atomi e tokamak

Quando parliamo di fusione parliamo di deuterio e di trizio, due isotopi di idrogeno. Un isotopo differisce da un comune atomo per il numero di neutroni. Idrogeno, deuterio e trizio hanno tutti 1 protone e 1 elettrone, ma l’idrogeno non ha neutroni, il deuterio ha 1 neutrone, il trizio ha 2 neutroni ed è radioattivo.

Per la fusione entrano in gioco il deuterio e il trizio perché - come è stato dimostrato - la fusione di questi atomi produce il massimo guadagno di energia alle temperature più basse.

Il professore ha spiegato che un tokamak è una macchina a forma di ciambella al cui interno si crea il vuoto, al cui interno si crea una miscela. In Jet si è arrivati a bruciare, dopo diversi anni di esperimenti, una miscela di deuterio e trizio.

In Iter, terminata la costruzione, si passerà alla sperimentazione con una miscela di deuterio, mentre il trizio è previsto a partire dal 2035, salvo aggiornamenti dei cronoprogrammi.

In Dtt invece non si utilizzerà il trizio, perché lo scopo della macchina è quello di smaltire, in modo sicuro e controllato, la potenza che il plasma deposita sulle pareti. Demo invece, che dovrà produrre energia elettrica, a regime funzionerà con deuterio e trizio.

La miscela all’inizio è un gas. Poi, a temperature molto elevate, dell’ordine dei 100 milioni di gradi, il gas si ionizza e il plasma risulterà composto da ioni deuterio, ioni trizio ed elettroni. Il plasma nel tokamak è confinato da campi magnetici generati da magneti superconduttori che cercano di tenerlo all’interno di questa ciambella.

Essendo però il plasma un fluido reale, questo confinamento non è mai perfetto e il plasma, quindi, deposita particelle e potenza termica sulle pareti del tokamak.

A questo si deve sommare la difficoltà tecnologica di trattare con temperature molto diverse: i superconduttori, che sono intorno alla ciambella, il tokamak, operano a pochi gradi kelvin mentre il plasma che sta all’interno, come abbiamo visto, si ionizza a milioni di gradi kelvin.

I carichi termici che arrivano sulle pareti di questi tokamak sono notevoli e molto difficili da smaltire: per questo esiste un progetto ad hoc, Dtt, che è stato pensato appositamente per la risoluzione del problema.

Questo è un aspetto importante non tanto perché si vuole recuperare questa potenza termica che si deposita sulle pareti, come spiega il professore, quanto piuttosto «di essere sicuri che il carico termico non crei danni alle pareti del tokamak».

Il Dtt in costruzione a Frascati, da una società in cui Enea è il socio di maggioranza e di cui fa parte anche il Politecnico di Torino, è un piccolo tokamak interamente pensato per risolvere il problema della potenza termica accumulata sulle pareti.

Le tempistiche sono di 6/7 anni prima di utilizzare un plasma in questa macchina italiana.

I grandi limiti non sono però solo tecnologici. «Nel campo della fusione ci sono tutta una serie di sfide teoriche ancora aperte - spiega Zanino - come per esempio capire in maniera profonda come viene trasportata l’energia in un plasma di deuterio e trizio».

Confinamento magnetico e confinamento inerziale

Iter è il risultato di una collaborazione internazionale che coinvolge l’Unione europea, la Cina, l’India, la Russia, gli Stati Uniti, la Corea del Sud e il Giappone: «davvero un impegno mondiale». Ovunque nel mondo ci si sta concentrando sul confinamento magnetico per l’applicazione in ambito civile.

In pochissimi posti, come Stati Uniti e Francia, ci sono invece esperienze sul confinamento inerziale che però hanno i loro presupposti e anche le loro principali applicazioni finora in ambito militare e non civile come il confinamento magnetico.

Quindi anche la svolta nella fusione nucleare, annunciata dai ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory in California, si inserisce in ambito militare.

Nel caso di confinamento magnetico parliamo di fusione termonucleare controllata, nel caso della fusione inerziale abbiamo una reazione che assomiglia molto a una microesplosione.

L’origine della ricerca per la fusione a confinamento inerziale è di natura militare: volendo validare, controllare e verificare, la bontà dei codici di calcolo che nel tempo avanzano, e non potendo più fare esperimenti esplosivi grazie ai vari trattati che impediscono esplosioni in terra, mare e aria, Paesi come gli Stati Uniti utilizzano questi esperimenti che - spiega alla Svolta il professore - avvengono in «similitudine idrodinamica», per dedurre quello che potrebbe accadere su una scala più ampia.

Su questo aspetto Zanino sottolinea che «a fronte dell’indubbio successo del parametro che è stato citato in diverse conferenze stampa, un guadagno dell’amplificatore, cioè del rapporto tra energia prodotta ed energia iniettata nel bersaglio per far accendere la miscela, che per la prima volta è stato un rapporto maggiore di uno, esistono delle limitazioni notevoli nel concetto delle fusione inerziale se vista per scopi civili».

Pensando all’applicazione civile, infatti, «si dovrebbe avere una ripetitività di microesplosioni a confinamento inerziale, circa 1 al secondo, per poter produrre la quantità necessaria di energia da immettere nella rete civile», dice il professore.

Oggi però i limiti tecnologici sono notevoli: «è già impegnativo fare uno di queste esplosioni in un giorno; quindi, siamo indietro di una quantità grande come il numero di secondi in un giorno».

La fusione a confinamento inerziale si basa quindi su una microesplosione, «l’esplosione per definizione non può essere controllata»: nell’esperimento di Livermore, 192 laser vengono collimati per farli funzionare tutti insieme sul bersaglio - una pallina -, sempre per mantenere lo stesso ordine di paragone, che potremmo dire grande qualche millimetro, ed è talmente difficile controllare anche il processo che produce la microesplosione che in realtà i laser non puntano direttamente sul bersaglio.

Anche qui ci sono grossi limiti che oggi non siamo in grado di superare: per comprimere la pallina in modo efficiente, si dovrebbe essere sicuri di colpirla con i laser in modo simmetrico per eliminare eventuali perturbazioni, che potrebbero distruggerla prima dell’innesco della reazione di fusione.

Per ovviare a questo problema si inserisce la pallina in un cilindro cavo, detto hohlraum, e le pareti di questo cilindro, solitamente in oro, vengono portate ad alte temperature colpendole con i raggi laser. Le pareti diventano poi sorgenti di raggi X che colpiscono, in modo indiretto, e riscaldano il bersaglio.

Il bersaglio, che è fatto principalmente da deuterio e trizio congelati, è anche ricoperto da una materia plastica, abbastanza sottile, che quando viene colpita dai raggi X si vaporizza dissolvendosi e per il principio di azione e reazione genera un’azione di compressione sul deuterio e sul trizio che vengono compressi.

«La difficoltà è quella di innescare i processi di fusione prima che la pallina si disintegri e a Livermore ci sono riusciti».

Il futuro della fusione nucleare

Il professor Zanino si congeda puntando l’accento su un altro aspetto interessante: se è vero che oggi non esistono reattori in grado di produrre energia partendo dalla fusione nucleare, è importante sottolineare che «la Commissione europea ha incluso di recente nella tassonomia verde il nucleare come fonte di energia che minimizza il danno legato alla produzione di CO2 rispetto alle altre fonti, ma soprattutto la fusione presenta degli aspetti legati alla sostenibilità più interessanti rispetto agli impianti a fissione che oggi funzionano».

«È un bellissimo momento per il nucleare nel mondo, soprattutto ma non solo per la fusione. Parlando di fusione bisogna ricordarsi che non parliamo solo di mondo accademico, ma anche di numerose start-up che stanno nascendo in giro per il mondo, e in particolare negli Stati Uniti, con piani molto aggressivi riguardo all’immissione del primo chilowattora nella rete e che in Iter le imprese italiane, e in particolare quelle piemontesi, sono state capaci di competere nel mondo, aggiudicandosi il record di più di un miliardo di commesse».

Anche nel campo della fissione nucleare, e in particolare della cosiddetta generation 4 di impianti a sicurezza intrinseca, sono state recentemente lanciate iniziative private, con start-up che stanno avendo un grande successo nella raccolta di venture capital. In particolare il professore cita il caso di Newcleo, con sede davanti al Politecnico di Torino, con cui l’Ateneo ha recentemente stabilito un accordo di partnership.

«Per il Politecnico di Torino si tratta di una serie di ottime premesse visto che è una realtà che si muove a tutto campo cercando di avere anche una ricaduta sul territorio».

Tutto questo non significa che da domani esisteranno centrali a fusioni nucleare, ma è importante sapere che parte del futuro dell’energia pulita potrebbe non essere così lontano.

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