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Avatar fa venire l’(eco)ansia?

Il successo di James Cameron – che ha già incassato oltre 1 miliardo di dollari – vuole far riflettere sulla salvaguardia dell’ambiente, ma sembra rendere molti spettatori depressi e spaventati
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1 gennaio 2023 Aggiornato alle 09:00

Tutto è iniziato dopo l’uscita del primo Avatar nel 2009, il colossal di James Cameron che racconta il tentativo dell’umanità di colonizzare un pianeta incontaminato chiamato Pandora, dove vivono i Na’vi, una razza umanoide blu amante della natura.

Il sito Avatar Forums raccoglieva i pareri degli appassionati del fantasy, che raccontavano di sentirsi depressi e insoddisfatti della propria vita dopo aver visto il film. Alcune persone scrivevano addirittura di aver pensato al suicidio e alla voglia di rinascere in un mondo simile a Pandora, in cui l’ambiente nella sua concezione più naturale è il centro della vita. Un utente ha chiesto se questa sensazione di smarrimento e depressione fosse condivisa, ricevendo più di 1.000 messaggi da persone di tutto il mondo che provano sentimenti simili. Il post è diventato così popolare che è stato creato un secondo thread per avere più spazio, e la discussione si è estesa ad altri siti di fan. Solamente un anno dopo, i media hanno iniziato a interessarsi a questa discussione, coniando il termine sindrome depressiva post-Avatar (PADS, Post Avatar Depressive Syndrome).

Non si tratta di una sindrome reale o di una patologia, ma di sentimenti raccontati da migliaia di utenti online – il dispiacere di sentirsi disconnessi dalla natura, le preoccupazioni per il futuro del nostro pianeta e l’insoddisfazione per la vita moderna – sembrano essere quelli dell’ecoansia. Nel 2010 non esisteva un dibattito così acceso sull’ambiente e sul futuro del nostro pianeta, ma l’insoddisfazione per come abbiamo impostato la nostra società e il rapporto con l’ambiente, oggi, preoccupa tutti.

È interessante notare che questa sindrome non si limitava al periodo di uscita del film, ma molte persone hanno scritto di aver guardato Avatar per la prima volta negli anni successivi all’uscita del film e di aver provato sensazioni simili. Un fan ha recentemente stimato che il 10-20% delle persone che utilizzano i forum dei fan di Avatar riferiscono di aver sperimentato paura, depressione e disorientamento rispetto al tema dell’uomo nella natura. Ancient Forest Alliance, un’associazione canadese senza scopo di lucro dedicata alla protezione delle foreste secolari, ha sviluppato una cura in tre fasi per il PADS: “Uscire e vivere la natura, agire per difenderla e convincere gli altri a fare lo stesso”.

La vicenda è stata raccontata dai media spesso con toni ironici e leggeri, senza prendere troppo sul serio le testimonianze dei fan, ma oggi è stato lo stesso regista a dichiarare la strettissima connessione del film con la preoccupazione della salvaguardia dell’ambiente, in particolare degli oceani.

L’ecoansia ha trovato spazio solo ultimamente nella letteratura scientifica, che la definisce come “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”; nonostante alcuni studiosi sottolineino che l’ecoansia non sia ancora considerata un vero disturbo d’ansia, ma piuttosto una reazione comprensibile alla gravità della crisi ecologica, sono sempre più evidenti i casi in cui questa sensazione di paura ha richiesto un supporto per la salute mentale.

È interessante comprendere come, a differenza delle patologie riconosciute legate all’ansia, non sia un disturbo individuale, ma collettivo; la paura nasce proprio dall’impotenza del singolo e dalla speranza che il mondo, nel suo insieme, si occupi dell’ambiente per contrastare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico. Gli ultimi avvenimenti delle tremende bufere di neve negli Stati Uniti, ma anche la preoccupante siccità della scorsa estate, hanno colpito l’occidente, mostrando gli effetti del degrado ambientale. Il sud del mondo è da decenni ormai colpito da inondazioni, pericolose ondate di caldo e disastri naturali; gli sfollati sono milioni e il diritto internazionale non ha ancora individuato gli strumenti per proteggere i cosiddetti migranti climatici.

È tristemente significativo come il mondo ricco e privilegiato abbia trovato la chiave di lettura dell’impatto disastroso del cambiamento climatico in un film fantasy; basterebbe guardare nel loro insieme i fatti della realtà, per comprendere la gravità del cambiamento climatico e il disinteresse verso la salvaguardia dell’ambiente. Ma un’occasione in più per riflettere sul senso della direzione che il mondo ha preso è sicuramente molto positiva.

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