Diritti

Oggi è la giornata mondiale della salute mentale

Secondo The Lancet, con la pandemia c’è stato un aumento globale dei casi di depressione del 27% e di ansia del 25%. In Italia, la quasi totalità dell’assistenza psicologica viene gestita privatamente
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
10 ottobre 2022 Aggiornato alle 09:00

In questa campagna elettorale c’è stata una grande assente. Nel dibattito pubblico, nelle (gridate) promesse elettorali, nei confronti, non si è parlato di salute mentale, che è rimasta relegata nelle righe (forse quelle meno lette) dei programmi. Quasi tutti i partiti – chi più chi meno – hanno dedicato spazio a questo tema: ma se ti chiedessimo di pensare a una dichiarazione, un proposito, una strategia, riusciresti a ricordare anche solo un esempio?

Eppure, affrontare apertamente il problema di un disagio sempre più diffuso non è mai stato così urgente. E non solo perché 2 anni di pandemia hanno avuto un impatto profondo sul benessere psicologico di moltissime persone – con un aumento dei casi depressione del 27,6% e dei casi di ansia del 25,6%, secondo The Lancet – ma anche perché è ormai necessario un cambio culturale drastico, che ci porti a ripensare il modo stesso in cui trattiamo, pubblicamente e privatamente, la salute mentale.

Sempre secondo la ricerca, a livello mondiale l’aumento dei casi di depressione e ansia non ha fatto che ampliare le disuguaglianze già esistenti, colpendo in particolar modo donne e giovani. In Italia, le richieste d’aiuto sono aumentate del 40% rispetto all’inizio della pandemia, con aumenti superiori al 30% nelle fasce dei minori di 18 anni (+31%) e 18-24 (+36%) secondo i dati raccolti dall’Istituto Piepoli per il Cnop (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi).

Il vero problema è che nel nostro Paese la quasi totalità dell’assistenza psicologica è gestita privatamente: addirittura, solo 2 pazienti su 10 riuscirebbero a essere seguiti nel pubblico. Dei 117.762 psicologi iscritti all’albo al 2020, solo il 4,3% lavora nel servizio pubblico: quelli assunti dal Ssn (Servizio sanitario nazionale), sono solo 5.000. 1 ogni 12.000 abitanti. Gli altri sono costretti a spendere cifre spesso al di sopra delle loro possibilità per poter ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno.

Secondo uno studio della testata spagnola Civio nell’ambito dell’inchiesta Pagar o esperar: cómo Europa -y España- tratan la ansiedad y la depresión riportato dal Sole 24 Ore, un’ora dallo psicologo costa infatti un giorno e mezzo di lavoro: “calcolando un salario minimo di 883 euro e che il costo medio di una seduta di un’ora con uno psicologo è di 75 euro, in Italia occorre lavorare 12 ore e 10 minuti per pagare la parcella del professionista cui ci si è affidati”. Nel pubblico, si scende a meno di mezza giornata, 3 ore e 9 minuti.

L’Italia è uno dei Paesi in cui andare dallo psicologo costa di più: siamo al quinto posto nella classifica europea del costo dell’assistenza psicologica sul mercato privato (fanno peggio solo Croazia, Estonia, Slovacchia e Romania).

Nonostante già nel settembre 2020 sia stato presentato in Senato il Disegno di Legge n. 1827 – un’iniziativa parlamentare firmata da Paola Boldrini (PD) – dal titolo Istituzione dello psicologo di cure primarie, in Italia non esiste una legge che regolamenti la figura, finora inesistente, dello psicologo di base. Solo a livello regionale ci si è mossi in questa direzione, con la Campania che l’ha introdotta nel 2020 e Lazio e Lombardia che hanno promesso di farlo, almeno a livello sperimentale.

È evidente che la soluzione non possa essere il bonus psicologo – più precisamente il “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia” – introdotto in luglio che prevede un voucher da 200 a 600 utilizzabile per pagare in tutto o in parte le sedute di psicoterapia fino a un massimo di 50€ per seduta. E non solo perché i fondi che verranno erogati dopo la pubblicazione delle graduatorie degli aventi diritto alla fine di ottobre non saranno sufficienti a coprire le richieste di chi ha già fatto domanda. Non lo saranno nonostante il decreto Aiuti Bis abbia previsto un rifinanziamento portando le risorse disponibili a 25 milioni di euro.

Nei primi due giorni, le richieste arrivate all’Inps sono state 113.343: inizialmente, il limite finanziabile stabilito dalla norma era di 10 milioni di euro, per un massimo di 50.000 domande considerando l’importo minimo del voucher, un numero che si riduce a poco più di 16.000 considerando quello più alto. 15 milioni di euro in più sembrano – e sono – tanti, ma non bastano.

In generale, i bonus – che per loro natura possono tamponare situazioni di emergenza ma non risolvere problemi strutturali – non possono essere lo strumento per gestire un problema strategico come quello dell’accesso all’assistenza psicologica. Il diritto alla salute è uno dei diritti fondamentali nella vita delle persone, a prescindere da età, genere o contesto socio-economico.

La salute, dice l’Oms, non è la mera assenza di malattie o infermità, ma “uno stato complessivo di benessere fisico, mentale e sociale”. È chiaro che non può esserci salute senza salute mentale. Ma bastano 200, 600, anche 1000 euro, per garantire quel diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione? Oggi, giornata mondiale della salute mentale, è l’occasione giusta per chiederselo.

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