Diritti

Iran: 100 detenuti rischiano la pena di morte

Tra questi, almeno 11 avrebbero già ricevuto la sentenza di condanna alla pena capitale, denuncia la ong Iran Human Rights. Eppure, secondo il suo direttore, «la strategia del terrore attraverso le esecuzioni ha fallito»
Marcia per l'Iran in occasione della Giornata dei diritti umani a Washington, Stati Uniti, il 10 dicembre 2022
Marcia per l'Iran in occasione della Giornata dei diritti umani a Washington, Stati Uniti, il 10 dicembre 2022 Credit: Allison Bailey/SOPA Images via ZUMA Press Wire
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29 dicembre 2022 Aggiornato alle 17:40

Continua il pugno duro della Repubblica islamica contro i dissidenti che da più di 3 mesi stanno portando avanti le proteste scatenate dalla morte della ventiduenne curda Mahsa Zhina Amini. Secondo l’organizzazione Iran Human Rights (Ihrngo) sarebbero almeno 100 le persone arrestate che rischiano la pena di morte. Il 27 dicembre l’ong basata a Oslo ha rilasciato un rapporto che fa il punto sulle accuse e sulle condanne registrate nel Paese, riportando i dati dei detenuti e il loro status.

Tra le 100 persone identificate da Ihrngo almeno 11 avrebbero già ricevuto la sentenza di condanna alla pena capitale. Si tratta per la maggior parte di uomini sotto i 30 anni, compresi almeno 3 minorenni. Le accuse più ricorrenti riguardano il reato di moharebeh (inimicizia contro Dio), applicabile per qualsiasi atto d’offesa alla religione o allo stato e punibile con la pena di morte, la crocifissione, l’amputazione della mano destra e della gamba sinistra o l’esilio.

Le altre accuse più comuni sono per il reato di efsad-fil-arz (corruzione sulla Terra), un crimine per cui manca una definizione rigorosa e che lascia ampia discrezione alle valutazioni dei giudici, e baghy, la ribellione armata contro l’autorità religiosa.

Il numero delle persone a rischio di esecuzione, che comprende anche 5 donne, è probabilmente più alto di quello riportato. Secondo l’organizzazione molte famiglie sono sotto ricatto o non se la sentono di esporsi. In alcuni casi i detenuti hanno difficoltà ad accedere alla rappresentanza legale e perfino a contattare i propri familiari. Il rapporto ricorda inoltre l’uso abituale della tortura nei confronti delle persone arrestate per estorcere false confessioni e la mancanza di equi processi.

Secondo il direttore di Ihrngo Mahmood Amiry-Moghaddam, l’incremento delle condanne a morte sarebbe parte della strategia del Governo iraniano per arginare le proteste, ma per il momento non sembra funzionare: «Quello che abbiamo osservato è solo un aumento della rabbia contro le autorità. La strategia del terrore attraverso le esecuzioni ha fallito».

Le stime dell’organizzazione riportano che dall’inizio delle proteste sono almeno 476 le persone uccise dalle autorità iraniane, tra cui 64 minorenni. Il tasso di mortalità più alto è quello registrato in Sistan Baluchistan (130 persone), seguito dalle province dell’Azerbaigian Occidentale (53), del Kurdistan (53) e di Teheran (52).

A queste cifre si aggiungono quelle rilasciate a novembre dalle Nazioni Unite, secondo le quali sarebbero almeno 14.000 le persone arrestate durante le proteste. A dicembre la Repubblica islamica ha giustiziato 2 manifestanti. Mohsen Shekari, 23 anni, è stato ucciso l’8 dicembre con l’accusa di aver ferito un membro dei basij e di moharebeh. Pochi giorni dopo, il 12 dicembre, un altro ventitreenne Majidreza Rahnavard è stato impiccato per aver accoltellato a morte 2 basij e averne feriti altri 4. La sua condanna è stata eseguita a soli 23 giorni dal suo arresto.

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