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Chi bello vuol apparire, al lavoro deve soffrire?

Quando i grandi si presentano, si chiedono sempre, «Come ti chiami? Che lavoro fai?». Ma il lavoro non è un cognome, riprendiamoci il tempo libero!
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17 dicembre 2022 Aggiornato alle 09:00

Le parole sono come un mestolo: ci puoi fare una torta o ficcartelo in un occhio. Il mestolo non cambia, è sempre un mestolo, ma a seconda di come lo usi, la vita diventa una festa o una corsa in pronto soccorso. Le parolacce, le parole che fanno solo male, sono pochissime. Tutte le altre sono come i mestoli: anche quando sembrano bellissime, vanno usate bene. I grandi usano le parole malissimo, a volte non se ne rendono neanche conto e a volte lo fanno apposta. Il risultato, comunque, fa male come un mestolo in un occhio.

Una parola che viene usata proprio male è “lavoro”. In realtà, è tutta l’idea del lavoro che è diventata sbagliata e non ce ne rendiamo neanche conto. Hai già sentito due persone grandi che si presentano? Invece di farsi un sacco di domande interessantissime, in genere dicono così: «Come ti chiami? Che lavoro fai?». So che sembra impossibile, ma noi adulti non siamo nati scemi e noiosi: in qualche modo, lo siamo diventati.

Il lavoro è diventato, nel tempo, il centro della nostra vita. È diventato più importante che passare del tempo con gli amici e i parenti. È diventato più interessante che fare le capriole, cantare a voce alta o inzaccherarsi nelle pozzanghere. Ha preso così tanto spazio, nelle nostre giornate e nella nostra testa, che quando una persona non ce l’ha o l’ha perso, il lavoro, è come se avesse dimenticato come si chiama.

Il lavoro può essere bellissimo. Ci sono mestieri fantastici che uno può aver avuto la fortuna di scegliere e fare con calma e con piacere. Ma non tutti i lavori sono così. Ci sono lavori ingiustamente faticosi. Ci sono lavori ingiustamente pagati male. Ci sono lavori utili ma un po’ noiosi. E soprattutto, c’è tanta, tantissima gente che non ha la fortuna di poterselo scegliere, un lavoro.

Il nostro mondo è molto ingiusto (ma possiamo cambiarlo, eh!) e quando una persona nasce povera, è molto difficile che diventi ricca, anche quando si impegna, anche se ce la mette tutta. La ricchezza è tutta in un pugnetto piccolo di persone che si guardano bene dal condividerla con gli altri.

Ogni volta che ci chiediamo, tra adulti, «Come ti chiami? Che lavoro fai?», ci ficchiamo un mestolo nell’occhio da soli, perché invece di lottare per riconquistare il tempo per voler bene ai nostri amici, lo passiamo a credere che bisogna voler bene al proprio lavoro, come se il lavoro fosse un amico.

Peggio, quando le cose vanno male, quando perdiamo il lavoro, quando siamo pagati o trattati male, quando facciamo un lavoro che non ci piace, finiamo per credere che ce lo meritiamo, che potevamo fare di più, che potevamo crederci di più, che la colpa è nostra. Ascoltami bene: è una bugia.

I tuoi genitori hanno ragione quando dicono, per esempio, che un premio speciale, te lo devi meritare. Che ci sono delle azioni per le quali ti meriti una bella ramanzina. Ma ci sono tante, troppe cose che non vanno come vorremmo e che non ci meritiamo. I grandi in questo momento usano tanto un parolone: meritocrazia. Vuol dire premiare i bravi e escludere i non bravi.

Ma cosa vuol dire essere bravi? Vuol dire essere buoni? Andare bene a scuola? Mangiare tutti i broccoli? Non tutti hanno la fortuna di avere una camera dove poter studiare in pace e magari un insegnante che dia qualche ripetizione. Non tutti possono permettersi di finire la scuola e devono cercare presto lavoro. C’è tanta gente che non può neanche permettersi i broccoli.

Nel mondo di oggi, essere meritevoli vuol dire fare i bravi, arrivare primi e stare zitti. Tre cose noiosissime che ti consiglio di non fare mai. Non essere meritevole, se essere meritevole vuol dire stare buono e muto. Non meritarti questo mondo ingiusto: chiedi con forza il mondo giusto che ti meriti!

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