Diritti

Iran: spari sulla folla e donne picchiate dalla polizia

Mentre le forze di sicurezza aprono il fuoco sui civili in una metropolitana, il tribunale rivoluzionario di Teheran condanna a morte altre 5 persone per le proteste
Molte donne iraniane partecipano a una protesta a Teheran il 3 settembre 2004. Le manifestanti hanno chiesto una dura punizione per le donne che non rispettano il codice di abbigliamento islamico che prevede l'uso di un abito lungo e di un foulard per nascondere i contorni del corpo e i capelli davanti a uomini sconosciuti.
Molte donne iraniane partecipano a una protesta a Teheran il 3 settembre 2004. Le manifestanti hanno chiesto una dura punizione per le donne che non rispettano il codice di abbigliamento islamico che prevede l'uso di un abito lungo e di un foulard per nascondere i contorni del corpo e i capelli davanti a uomini sconosciuti. Credit: EPA/Abedin Taherkenareh DEF
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
18 novembre 2022 Aggiornato alle 11:15

Le banchine della metro di Teheran sono affollate. Si sentono degli spari, qualcuno corre, calpesta chi si è inciampato nella fuga. I poliziotti hanno appena aperto il fuoco sulla folla e qualcuno è riuscito a filmare, postando i video sui social. Un’altra clip che circola mostra le forze di sicurezza iraniane che colpiscono con dei manganelli alcune donne che non indossano il velo.

Martedì le manifestazioni si sono intensificate, così come la risposta delle autorità: per commemorare le vittime del sanguinoso Bloody November”, quando nel 2019 vennero uccise centinaia di persone che protestavano contro l’improvviso aumento dei prezzi del carburante, si sono susseguiti tre giorni di contestazioni e scioperi: strade principali bloccate da fiumi di persone che gridavano “Freedom, freedom!”, e “Death to the dictator” contro il leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, falò improvvisati dopo il tramonto, applausi per qualcuno che dava fuoco a un velo vicino ai binari della metropolitana.

Nel frattempo, tra le mura dei tribunali rivoluzionari di Teheran, altre 4 persone venivano condannate alla pena capitale per le proteste. Solo qualche giorno fa era stata emessa la prima sentenza di morte contro una persona ignota, accusata di aver dato fuoco a un edificio governativo e di “inimicizia contro Dio”. L’agenzia Mizan ha diffuso le motivazioni delle condanne, ognuna diversa dall’altra: il primo avrebbe investito e ucciso un poliziotto con la sua auto; il secondo possedeva un coltello e una pistola; il terzo avrebbe bloccato il traffico e causato “terrore”; il quarto, armato di coltello, è stato condannato per un’aggressione. «I manifestanti non hanno accesso agli avvocati nella fase dell’interrogatorio, sono sottoposti a torture fisiche e mentali per ottenere false confessioni e poi condannati sulla base di queste confessioni», ha detto all’agenzia di stampa francese Afp il direttore di Iran Human Rights, Mahmood Amiry-Moghaddam.

Le persone che rischiano la pena di morte ora salgono a 5, ma le organizzazioni per i diritti umani temono che il numero possa ulteriormente salire. Nonostante le autorità non abbiano reso note le loro identità, Amnesty International crede che si tratti di Mohammad Ghobadlou, Manouchehr Mehman Navaz, Mahan Sedarat Madani, Mohammad Boroughani e Sahand Nourmohammad-Zadeh: le accuse mosse nei loro confronti coincidono con quelle dichiarate dai tribunali che hanno emesso le sentenze. Sono solo alcuni dei 21 detenuti accusati di reati legati alla sicurezza e punibili con la morte ai sensi del sistema legale iraniano che si basa sulla Sharia, la legge islamica.

Finora almeno 348 manifestanti sono stati uccisi e altri 15.900 arrestati, secondo l’agenzia di stampa per gli attivisti per i diritti umani Hrana. I media statali hanno riportato la morte di 38 membri del personale di sicurezza, ma secondo Hrana si tratterebbe di almeno 43 morti. Mercoledì notte i media statali hanno riferito della morte di almeno cinque persone, tra cui almeno una donna e una bambina, uccise da “elementi terroristici” armati che hanno aperto il fuoco contro polizia e manifestanti. Molti, alcuni minorenni, sono stati uccisi anche nella zona occidentale di Izeh e nella città di Kamyaran, più a nord, che si trova nella provincia d’origine di Mahsa Amini, in Kurdistan. La sua morte è stata la miccia di tutte le proteste che dal 16 settembre stanno infuocando l’Iran.

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