Diritti

Usa: l’accoglienza degli afgani è in tilt

Il governo sta cercando di trovare una sistemazione a decine di migliaia di rifugiati, ma in aree densamente popolate e con pochi alloggi disponibili
Alcuni afghani della Task Force Holloman al White Sands National Park in New Mexico, Stati Uniti, nel gennaio 2022
Alcuni afghani della Task Force Holloman al White Sands National Park in New Mexico, Stati Uniti, nel gennaio 2022 Credit: U.S. Air Force/ZUMA Press Wire Service/ZUMAPRESS.com
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29 settembre 2022 Aggiornato alle 12:00

Nella regione di San Francisco negli Stati Uniti vive la più grande popolazione afghana. Ad agosto 2021 il presidente statunitense Joe Biden aveva confermato il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, promettendo ai 100.000 rifugiati che avrebbero raggiunto gli Stati Uniti insieme con i soldati sistemazioni in cui vivere e condizioni migliori rispetto a un Paese controllato dai talebani (alla ritirata delle truppe statunitensi, infatti, ha fatto seguito l’offensiva dell’organizzazione di guerriglia afghana, un’azione militare contro il governo dell’Afghanistan).

Ora gli Stati Uniti stanno cercando di collocare decine di migliaia di famiglie in aree densamente popolate che soffrono di una grave carenza di alloggi a prezzi accessibili. Sembra che la crisi dei rifugiati e l’enorme afflusso di migranti abbia sconvolto il sistema di accoglienza, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di offrire abitazioni.

Molti dei rifugiati afghani, proprio per questo, hanno affrontato difficoltà sia a lasciare il Paese a causa dell’instabilità che è seguita all’ingresso dei talebani a Kabul sia, in seguito, ad arrivare alla destinazione finale. Per accogliere le persone, l’amministrazione Biden ha avviato una serie di programmi di reinsediamento, la cosiddetta operazione Allies welcome, coordinata dal Dipartimento della Sicurezza Interna (Dhs).

Tuttavia, secondo quanto riportato da Internazionale, i dipendenti delle associazioni che lavorano con i rifugiati hanno spiegato che, normalmente, organizzazioni come l’International Rescue Committee (Irc) hanno 2 settimane per prepararsi all’arrivo di una famiglia, cercando una sistemazione adatta, fornendo beni primari e preparando i documenti che possano consentire loro di vivere “legalmente” sul territorio. Ma probabilmente il sistema organizzativo ha subito delle complicazioni e per gli assistenti sociali è diventato impossibile muoversi efficientemente e trovare alloggi per tutti.

Ad aggravare il quadro è la crisi abitativa in corso negli Stati Uniti, che non è legata a nazionalità o condizioni sociali. Infatti, nel 2021 il prezzo delle case è aumentato in media del 16,9%, con un picco del 19,9% rispetto al 2020, facendo temere una bolla simile a quella del 2008. Ma gli esperti del settore dicono che se anche ci fosse, non avrebbe gli stessi effetti devastanti. Ne ha parlato l’economista Paul Krugman, sul New York Times il 28 gennaio con un editoriale intitolato Wonking Out: Are We in Another Housing Bubble?, ma arrivando alla conclusione che “non è nella lista delle dieci cose di cui preoccuparsi”.

Airbnb ha messo a disposizione alloggi per i rifugiati

Senza soldi, lavoro o familiari a cui chiedere aiuto, molti afghani hanno dunque cercato soluzioni temporanee, come camere di hotel e appartamenti di Airbnb. Il 24 agosto 2021 Brian Chesky, Cofondatore e Amministratore Delegato della piattaforma Airbnb, ha annunciato con un tweet di aver messo a disposizione 20.000 posti all’interno della propria rete di appartamenti in tutto il mondo per i rifugiati.

L’iniziativa è stata portata avanti grazie alla disponibilità dei proprietari più generosi, sebbene a pagare per le notti sarà la stessa azienda, come confermato in un secondo tweet. Successivamente ha chiarito l’impegno nell’aumentare il numero e ospitarne altri 20.000, ma non solo: ha fornito finanziamenti di emergenza alle associazioni che si occupano del reinsediamento dei rifugiati, mettendo a disposizione una piattaforma speciale per prenotare i soggiorni.

Secondo Evangeline Long, coordinatrice nazionale del Church world service, un’organizzazione non profit che trasforma le comunità attraverso risposte sostenibili a fame e povertà, sostiene che Airbnb sia lo strumento principale per collocare i rifugiati afghani. A volte i soggiorni durano molto: alcune famiglie restano in una casa per qualche giorno, altre anche per settimane e mesi. Da quello che emerge, c’è flessibilità, consentendo agli operatori sociali di prolungare i soggiorni dei rifugiati fintanto che non trovano sistemazioni più stabili (anche se talvolta, quando il periodo scade, si trasferiscono da un alloggio a un altro). Si tratta comunque di un’opzione migliore rispetto quella di vivere a Kabul.

L’aiuto dei corridoi umanitari in Italia

Anche in Italia, il 27 e 28 luglio 2022 sono arrivati con voli dal Pakistan e dall’Iran 300 afghani – per la maggior parte hazara – con i corridoi umanitari, iniziativa frutto di un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese, la Cei-Caritas e il governo italiano. Il progetto ha come obiettivi quello di evitare i viaggi con i barconi nel Mediterraneo, impedire lo sfruttamento e concedere a persone in “condizioni di vulnerabilità” un ingresso legale sul territorio italiano. Arrivati in Italia, le persone sono accolte in strutture o case apposite.

Con l’arrivo di luglio, i profughi giunti in Europa con i corridoi umanitari superano i 5.000 dal 2016. Il progetto è totalmente a carico delle associazioni proponenti, reso possibile grazie all’impegno gratuito e solidale di associazioni e cittadini italiani, che hanno offerto le loro case per ospitare. Tra queste Solidaire, che, in collaborazione con Open Arms, ha contribuito all’organizzazione del volo dal Pakistan. Al corridoio per gli afghani si è aggiunta anche l’associazione culturale Arci.

La crisi umanitaria è lampante e le iniziative di questo genere servono per lanciare segnali di solidarietà e aiutare concretamente persone in condizioni di fragilità.

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