Diritti

Afghanistan: il lavoro nobilita solo l’uomo

Almeno 60 donne del dipartimento finanziario hanno dovuto abbandonare il proprio posto. Ma prima, un ultimo compito: raccomandare un membro maschio della loro famiglia per sostituirle
Una donna afghana all'ingresso di un negozio di alimentari a Kabul nel 2021
Una donna afghana all'ingresso di un negozio di alimentari a Kabul nel 2021 Credit: Adrien Vautier/Le Pictorium Agency via ZUMA Press
Tempo di lettura 3 min lettura
25 luglio 2022 Aggiornato alle 13:00

Dalla presa di Kabul, in Afghanistan continua inarrestabile la scia di soprusi sulle donne da parte dei talebani. Ora non possono più lavorare e, con pressioni neanche tanto velate, sono costrette a licenziarsi per lasciare il posto a parenti di sesso maschile.

Era il 14 agosto 2021 quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan e hanno annunciato la rinascita dell’Emirato Arabo. Oggi, a quasi un anno di distanza, sembra farsi sentire con più forza e determinatezza quella frase che allora riecheggiava tra i telegiornali: «Nulla sarà più come prima in Afghanistan».

Era chiaro a tutti che non lo sarebbe stato per le donne, nel mirino di violenze e soprusi dei talebani. Oggettivizzate e possedute dai loro padroni uomini. Vittime di una perdita di identità indotta. Annullate nel loro essere “umane”. Un viaggio indietro nel tempo per loro, un incubo in cui ricadere dopo spiragli di sonni più o meno tranquilli.

Neanche un mese dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, le donne erano già fuori da ogni posizione di potere. Si sono ritrovate a indossare nuovamente il burqa in pubblico perché «è tradizionale e rispettoso» e a non poter viaggiare da sole a distanza di oltre 70 chilometri dalla propria abitazione.

Poi hanno dovuto rinunciare all’istruzione: le bambine possono frequentare solo la scuola elementare, mentre dai 12 anni l’accesso alle scuole medie e superiori è assolutamente proibito al genere femminile. Alcune università private hanno costruito piccole classi, divise per genere, per permettere alle donne di studiare e garantirsi una speranza di accesso nel mondo del lavoro. Ma si tratta di casi più unici che rari. L’istruzione non è per le donne. Il lavoro nemmeno.

L’ultimo punto che si aggiunge all’elenco di divieti per le donne afghane ce lo dice chiaramente: licenziamenti per tutte, senza distinzioni di esperienza, competenze né conoscenze. Ma prima di andare via è permesso raccomandare un membro della loro famiglia, rigorosamente uomo, per sostituirle sul posto di lavoro. È quanto denunciato dalle donne che lavoravano presso il ministero delle finanze al Guardian.

Tra loro c’è chi era riuscita, con impegno e sacrificio, a coprire ruoli importanti come quello del capa di dipartimento. Anni di formazione, esperienza e studi mandati in fumo da un gruppo misogino e violento. «Il carico di lavoro in ufficio è aumentato e c’è bisogno di assumere uomini» è la frase pronunciata al telefono che fa crollare la terra sotto i piedi e riporta indietro nel tempo di qualche decennio.

Almeno sessanta le donne del dipartimento finanziario che si sono unite alla denuncia al Guardian e che hanno ricevuto la chiamata dei funzionari talebani per creare pressioni per l’abbandono spontaneo del posto di lavoro. Costrette, in maniera velata, a lasciare tutto per tornare rinchiuse in casa. E chissà quante hanno perso la voce o la voglia di ribellarsi e denunciare.

Charles Darwin diceva che il lavoro nobilita l’uomo, ma se qualcuno intendesse l’essere umano, si sappia che in Afghanistan è tutta una questione di genere.

Leggi anche
Una donna afghana che indossa il burqa cammina in una strada di Kabul.
Discriminazioni
di Valeria Pantani 3 min lettura