Bambini

Il Pd e la sua “superficialità scolastica”

Per la serie Valutazione dei programmi elettorali a tema scuola n.2, oggi diamo uno sguardo alle (deludenti) idee del Partito Democratico
Enrico Letta durante una conferenza stampa a Roma nel gennaio 2022
Enrico Letta durante una conferenza stampa a Roma nel gennaio 2022 Credit: EPA/LaPresse / Roberto Monaldo / POOL
Tempo di lettura 7 min lettura
13 settembre 2022 Aggiornato alle 07:00

Conoscere è potere: istruzione, cultura, socializzazione: è così che si intitola il capitolo del programma del Partito Democratico relativo alla scuola. In queste pagine dedicate, il Pd decide di partire da chi la scuola la vive ogni giorno, gli insegnanti: “vogliamo rimettere al centro la scuola e restituire al mestiere dell’insegnante la dignità e centralità che merita, garantendo una formazione adeguata e continua e allineando, entro i prossimi cinque anni, gli stipendi alla media europea”. Dopo queste poche righe si passa subito all’argomento successivo. Non viene spiegato altro.

Se si volesse affrontare il tema seriamente si potrebbe partire, per esempio, dal fatto che a contratto i nostri insegnanti hanno un numero di ore molto inferiore rispetto a quelle che effettivamente lavorano. Sono conteggiate solo le ore di lezione (18 per un insegnante di scuola secondaria e 22 + 2 per gli insegnanti di scuola primaria). Il lavoro che un (buon) insegnante svolge a casa, come a esempio la preparazione delle lezioni, la predisposizione dei compiti, la correzione delle verifiche, aggiornamento individuale e i rapporti con le famiglie è ritenuto funzione docente e lasciato, quindi, alla buona volontà del singolo.

Negli altri Paesi Europei le attività che un docente svolge fuori dalla classe vengono disciplinate da contratto e solitamente svolte a scuola. Secondo il Rapporto Insegnanti in Europa di Eurydice, a esempio, in Germania il contratto di un insegnante prevede 40 ore settimanali, in Francia 35 e in Spagna 38.

Per quanto riguarda il rapporto tra ore lavorate e stipendio, inoltre, bisognerebbe tenere in considerazione il vero divario, quello che riguarda le maestre e i maestri. Questi, oltre a essere meglio formati, lavorano più ore rispetto ai professori della scuola secondaria (22 + 2 ore a settimana contro le 18 dei professori), venendo pagati però molto meno rispetto a un collega delle superiori. A parità di titolo di accesso (la laurea) c’è un enorme differenza di stipendio e un carico di lavoro più pesante.

Questo (forse) poteva essere giustificato un tempo, quando per insegnare alle elementari bastava aver frequentato le magistrali, ma da allora molte cose sono cambiate. Oggi per poter insegnare alla scuola primaria (elementari) occorre aver conseguito la laurea in Scienze della Formazione Primaria, decidendo, quindi, di intraprendere questa professione molto presto. Cosa non scontata in una società in cui insegnare non è quasi mai la prima scelta di un laureato.

Se si volessero davvero rivedere le politiche sugli stipendi degli insegnanti sarebbe necessario prendere in considerazione il ritmo di progressione degli stipendi. In Italia gli aumenti stipendiali dipendono dall’anzianità di servizio mentre invece negli altri Paesi le progressioni dipendono dalle competenze, dall’aggiornamento professionale effettuato, dalla formazione e dalle responsabilità assunte nella scuola.

Il Partito Democratico nel suo programma non ha fatto alcun riferimento alla possibilità di carriera per i docenti, cosa peraltro prevista dal Pnrr. Le prospettive di carriera e la predisposizione di percorsi differenti per i docenti che decidono di assumersi maggiori responsabilità dovrebbero essere prese in considerazione nel momento in cui si propone di restituire dignità al mestiere.

Le figure di cui stiamo parlando già esistono nel mondo della scuola e sono quei docenti che supportano il lavoro del Dirigente scolastico. Stiamo parlando non solo del Vice preside ma anche di chi fa il coordinatore di classe, il responsabile di dipartimento, dell’educazione civica, del PCTO, dell’Erasmus, dell’orientamento, delle Funzioni Strumentali ecc.

Questi insegnanti esistono già, sono figure essenziali per il Preside e per il funzionamento della scuola tutta. Non riconosciute nel loro impegno a livello contrattuale e in modo irrisorio a livello economico. La progressione di carriera può stimolare la motivazione degli insegnanti aumentando anche la possibilità per i giovani di scegliere questo percorso professionale per poi magari non abbandonarlo.

Perché quindi nella proposta non si è parlato di velocizzare gli scatti retributivi o della possibilità di prevedere una o più carriere per gli insegnanti? Come il Partito Democratico voglia aumentare gli stipendi degli insegnanti non è dato sapersi.

Nel capitolo Conoscere è potere: istruzione, cultura, socializzazione la parola “precari” non è mai accostata alla parola “scuola”. Come è possibile che “il partito dei diritti” non abbia pensato ai precari della scuola? Situazione in cui oggi si trovano più di 150.000 insegnanti.

Secondo INDIRE (Istituto nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa) in Italia circa l’80% degli insegnanti sotto i 35 anni ha un contratto a tempo determinato, il 32% se andiamo a prendere la fascia d’età 35-49 anni. Un precariato più patologico che fisiologico che continua a non essere misurato né gestito e che ha ripercussioni enormi sull’apprendimento dei ragazzi.

La dignità di questo lavoro è da ricercarsi anche nella modalità di reclutamento e di selezione degli aspiranti docenti, ma l’accesso a questa professione e le modalità di reclutamento cambiano quasi ogni anno. Continuano a esserci insegnanti di serie A (ruolo) insegnanti di serie B (supplenze annuali) e insegnanti di serie C (supplenze brevi). Per questi ultimi, a esempio, la malattia viene retribuita al 50% e per un massimo di 30 giorni annuali; i permessi non sono retribuiti e il bonus dei 500 euro non è previsto. Ora, passi il bonus, ma la malattia pagata al 50% non è propria di un paese civile.

Tra le proposte del Partito Democratico ce ne sono due che riguardano l’obbligo scolastico: innalzare l’obbligo dai 16 ai 18 anni d’età e di rendere “gratuita e obbligatoria la scuola dell’infanzia”. In questi giorni se ne è parlato molto ma stiamo guardando il dito e non la luna. È sicuramente vero che studiare di più apporta vantaggi all’intera società e iniziare a studiare anche solo un anno prima (5 anni) potrebbe avere risvolti positivi sui futuri apprendimenti degli studenti, ma è sufficiente?

Secondo i dati INVALSI l’abbandono scolastico è al 13% (10% media europea), ma è la dispersione esplicita al 9,7% che dovrebbe spaventarci quando parliamo di obbligo scolastico. I dispersi non sono solo quelli che a 16 anni decidono di non portare a termine gli studi, ma anche quei ragazzi e ragazze che pur portando a termine il loro percorso non raggiungono i traguardi di competenza previsti alla fine dell’intero percorso scolastico. Il contesto socio economico e culturale della famiglia di provenienza ha un forte impatto sul futuro dei giovani. Quello che conta è dove si nasce e in che contesto familiare si cresce. Se guardiamo i dati uno studente ha il 75% di probabilità di laurearsi se proviene da una famiglia con genitori laureati, il 48% se figlio di diplomati e del 12% se i genitori hanno solo la licenza media. Si scende al 6% se i genitori non hanno alcun titolo di studio.

Qualcosa nella nostra scuola evidentemente non funziona e la situazione non migliorerà aumentando gli anni di obbligo scolastico. Davanti a una scuola che ha perso il suo effetto perequativo sarebbe forse più opportuno parlare di una riforma complessiva dei cicli scolastici.

In conclusione, il Partito Democratico nel suo programma tocca in modo molto superficiale solo alcune delle problematiche che affliggono il nostro sistema, concentrandosi più su aspetti legati alla professione docente che sugli studenti e i loro apprendimenti. Inoltre, per le proposte avanzate non vengono indicate le modalità con cui si intende modificare il sistema attuale.

Leggi anche
Enrico Letta a Porta a Porta il 31 agosto 2022
Elezioni
di Giacomo Talignani 5 min lettura
Giuseppe Conte, durante l'iniziativa elettorale per la presentazione del programma e dei candidati del M5S a Roma il 9 settembre 2022.
Elezioni
di Valentina Chindamo 2 min lettura