Diritti

Italia: la violenza stradale è senza limiti

Secondo l’architetto urbanista Matteo Dondé, nella Penisola c’è un problema culturale: «da noi la strada è proprietà dell’automobile, sulle strisce pedonali continuiamo a morire. Non siamo un Paese civile»
Credit: Tobias Tullius
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
22 agosto 2022 Aggiornato alle 07:00

In dodici anni la media nazionale dell’indice di mortalità in Italia, il rapporto morti/incidenti con lesioni a persone, è rimasta invariata.

I cosiddetti “utenti vulnerabili”, cioè “tutti coloro i quali meritino una tutela particolare dai pericoli della circolazione sulle strade”, rappresentano circa la metà delle vittime della strada nel 2021. La distrazione alla guida, il mancato rispetto dei segnali stradali e le velocità troppo elevate sono le cause principali di incidenti e vittime stradali.

Per questo e altri motivi, l’intervento di Matteo Dondé a MobilitARS 2022 è stato così duro: «In Italia la violenza stradale è fuori controllo», ha detto dal palco dell’evento realizzato da Bikenomist, di cui è direttore scientifico, in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia. L’architetto, esperto in pianificazione della mobilità ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici, è intervenuto per parlare di un sistema che, in Italia, non tiene adeguatamente conto dell’incolumità degli utenti fragili della strada.

Lo dimostrano i dati dell’ultimo rapporto Aci-Istat, che analizza i sinistri stradali, le loro cause, i luoghi in cui sono avvenuti e registra gli utenti della strada coinvolti.

Rispetto al 2020, anno che ha sperimentato misure restrittive come il lockdown per contenere i contagi da Covid-19 ci sono stati più incidenti, morti e feriti. Anche tra i motociclisti (+18,6%) e i pedoni (+17,1%). Ma i numeri risultano inferiori se confrontati con quelli del 2019.

Ogni anno, però, sulle strade italiane continuano a morire decine di bambini: nel 2021 sono stati 28, e il maggiore aumento tra le vittime si è registrato nella fascia d’età successiva, 15-19 anni, con un + 41,7%.

Per Dondé è un dato inaccettabile: «Sappiamo benissimo chi uccide chi: c’è un problema culturale, in Italia la strada è proprietà dell’automobile, sulle strisce pedonali continuiamo a morire – dei 600 pedoni morti ogni anno la metà viene investita e uccisa sulle strisce pedonali: non siamo un Paese civile». L’ultimo report di Aci/Istat parla di 471 pedoni deceduti.

«L’Italia ha abdicato al controllo delle regole per la sosta degli autoveicoli: abbiamo accettato socialmente l’illegalità della sosta nelle nostre città», ha spiegato Dondé, dando la colpa alla «totale impunità e arroganza dello spazio pubblico, immagini impossibili in qualsiasi altro Paese d’Europa». Lo dimostra anche il rapporto dell’European Transport Safety Council sui dati relativi all’Unione europea: nel 2021 l’Italia si attesta nella penultima fascia, quella arancione, tra i 60 e i 70 decessi stradali per milione di abitanti. La fascia verde, tra i 31 e i 39, è occupata, tra gli altri, da Lituania e Regno Unito.

Secondo Dondé, anche la stampa ha una responsabilità in questo, deresponsabilizzando i responsabili e chiamando fatalità ciò che invece deve prendere il nome di violenza stradale: «Serve un codice deontologico per raccontarla».

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