Culture

Chiara Tilesi: «Hollywood ha un punto di vista maschile»

«Questo ambiente è dominato dagli uomini», spiega la produttrice italiana a La Svolta, mentre racconta le sue lotte per cambiare la narrazione femminile nei media
Tempo di lettura 5 min lettura
30 luglio 2022 Aggiornato alle 20:00

La produttrice Chiara Tilesi ha lasciato Firenze e l’Italia a 18 anni per studiare cinema negli Stati Uniti e non è più tornata. Appassionata di regia e produzione, temi sociali e parità di genere, col tempo ha capito che la narrazione sulle donne a Hollywood non andava più bene.

«Sono arrivata a Los Angeles più di vent’anni fa dall’Italia per studiare e lavorare nel cinema – racconta a La Svolta Chiara Tilesi, al telefono da Los Angeles - Ho lottato tanto perché questo ambiente è dominato dai maschi».

Un motivo valido che le ha dato l’occasione di fondare nel 2016 la produzione no profit We do it together, (Facciamolo insieme, ndr) con l’obiettivo di cambiare la rappresentazione delle donne nei media e promuovere il loro empowerment.

«Anche questo se ci pensa è strano perché noi donne, che siamo il 51% della popolazione mondiale, siamo trattate invece come una minoranza. Comunque, sono riuscita a riunire 80 donne e uomini celebri, da tutte le parti del mondo, (nel cda spiccano i nomi di Jessica Chastain, Henry Louis Gates jr e Penelope Cruz) che sostengono la mia causa, per creare contenuti al femminile attraverso documentari, corti e lungometraggi».

Cosa avete prodotto, fino a oggi?

«Abbiamo cominciato con Tell IT Like a Women (Dillo come una donna) un film composto da segmenti diretti da sette registe, girato in Giappone, Italia, India, Usa e America Centrale, e interpretato da attrici come Marcia Gay Harden, Jennifer Hudson, Pauletta Washington, Margherita Buy, diretta da Maria Sole Tognazzi. Ci sono voluti sei anni! Un’impresa che abbiamo appena concluso, arriverà nelle sale italiane a ottobre, e che abbiamo presentato con grande successo in anteprima al Taormina Film Festival alla presenza di Eva Longoria, altra straordinaria protagonista del film».

L’idea di fondo è quella di cambiare il modo di raccontare le donne?

«Certo! E mi creda, non è un’impresa semplice. Hollywood è la fabbrica dei sogni e dagli anni Trenta propone l’immaginario americano al pubblico di tutto il mondo. Peccato che sia soprattutto dal punto di vista maschile. Fino a pochi anni fa, l’80% dei film aveva per protagonisti uomini e alle donne restavano ruoli di contorno. Ora la tendenza sta cambiando, ma non è affatto scontato. La ripetizione delle immagini crea un dna culturale: noi siamo quello che vediamo. Per esempio, nel campo della pubblicità e della moda, finora hanno dominato solo ragazze magre e giovanissime, come se avessimo una data di scadenza. È proprio una lotta impari. Pensi a George Clooney che a 61 anni è il più sexy del mondo, invece noi femmine, dopo una certa età, fatichiamo molto a non diventare invisibili. Casi eccezionali come Sharon Stone esistono, ma sono appunto eccezioni».

Un danno lo hanno fatto anche le principesse delle fiabe.

«Intanto dobbiamo smetterla di leggere le fiabe sulle principesse ai nostri figli! Pensate alla povera Biancaneve: scampata per miracolo al cacciatore che la vuole ammazzare su ordine della regina cattiva, fugge nel bosco e si ripara nella casetta dei sette nani. E cosa fa? Si mette a pulire, rassettare e cucinare, ovviamente! E pure cantando felice. Oppure Cenerentola, la fiaba più tradotta al mondo è detestata dalla matrigna e dalle sorellastre perché è più bella di loro. L’unica possibilità che ha di salvarsi è sposando un principe. I messaggi sono: senza un uomo non sei niente e le donne sono sempre in competizione tra loro. Ma sono bugie. Certo anche il mondo dei cartoni animati sta cambiando, ma queste icone sono intramontabili. Per mia fortuna, ho avuto modelli diversi, come mia nonna Adriana, forte e indipendente, mi ha insegnato che i sogni non hanno genere e di credere in me stessa».

Un altro tipo di discriminazione, decisamente pesante, è quello legato all’età delle donne. Non trova?

«In America si chiama ageism: discriminazione in base all’età. E gli anni che abbiamo non sono l’unico numero che definisce il nostro valore nella società. Ci sono il peso, la taglia, la circonferenza di seno, vita, fianchi, terribile! Una volta, mi sono presentata a una conferenza, dicendo: “Mi chiamo Chiara Tilesi, non sono sposata, non ho figli, ho quasi 50 anni e peso 64 chili”. Se questa affermazione risulta provocatoria è perché siamo ancora vittime di vecchi stereotipi».

L’impegno di We do it together non si ferma qui, giusto?

«Ho messo in piedi anche due progetti che coinvolgono donne straordinarie, sempre con l’intento di diffondere una iconografia femminile differente. Il primo si chiama: Be the Subject not the object, (Sii il soggetto, non l’oggetto), una campagna mediatica con il premio Nobel per la pace Beatrice Fhin, il secondo One of us, uno short documentary, arrivato alla seconda edizione, che celebra quattro donne italiane residenti in America: Isabella Rossellini, l’ambasciatrice Mariangela Zappia, Giada De Laurentis, Federica Raia. Lo abbiamo presentato presso l’ambasciata italiana in Washington davanti a Nancy Pelosi, Speaker della Camera dei Rappresentanti».

Documentari e cinema possono fare la differenza?

«Mi ha sempre interessato il forte impatto sociale che ha il cinema sulle persone, per questo con Frequency, la mia casa di produzione, (ha prodotto All the Invisible children diretto da Spike Lee, Ridley Scott, Emir Kusturica, Katia Lund etc.) affronto tempi importanti come Giving Back Generation (Amazon) serie in cui giovani attrici come Selena Gomez, Nina Dobrev, Sofia Carson, parlano di amicizia, rispetto e accettazione di sé stesse, e di come si sono imposte nel loro lavoro».

Il #metoo ha conseguito molte vittorie in questi anni, che la pandemia pare abbia azzerato.

«Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha dichiarato che a causa del Covid le donne hanno fatto un enorme passo indietro. Perché tra badanti, tate, infermiere, sono più le donne che si prendono cura degli altri. L’importante, in questo momento, è non descriverle come vittime, ma come protagoniste coraggiose che riescono a trasformare anche le situazioni più drammatiche».

Leggi anche
Donne
di Valeria Pantani 5 min lettura