Diritti

Entro 4 anni, il 40% donne nei cda europei

Dopo 10 anni, gli Stati Ue hanno concordato una quota importante dedicata al genere femminile nelle società quotate. Ecco cosa accade.
Lara Wolters
Lara Wolters Credit: larawolters.eu
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
9 giugno 2022 Aggiornato alle 16:32

Un passo avanti verso l’uguaglianza di genere: dopo dieci anni è stato trovato un accordo sulla direttiva Women on boards, che obbliga le società quotate nei 27 Paesi membri dell’Unione europea a far assumere alle donne almeno il 40% dei seggi nei consigli di amministrazione.

«Siamo finalmente riusciti a risvegliare la Bella Addormentata con il fatidico bacio», ha commentato all’agenzia di stampa Reuters Lara Wolters, socialista olandese e capa negoziatrice per il Parlamento europeo sulla questione.

«Entro il 2026 migliaia di aziende dell’Unione europea dovranno inserire più donne nei loro consigli di amministrazione e garantire il 40% di uguaglianza nei Cda in tutti e 27 gli Stati membri. Attualmente solo uno Stato membro lo fa e 18 non hanno alcuna legislazione a riguardo», ha twittato Wolters.

La Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno fissato un obiettivo che punta al raggiungimento di un maggiore equilibrio di genere, stabilendo entro il 30 giugno 2026 - anche se il Consiglio aveva proposto la data del 31 dicembre 2027 - una quota del 40% del “sesso sottorappresentato” tra gli amministratori non esecutivi o del 33% tra tutti i ruoli dirigenziali, compresi i direttori non esecutivi, gli amministratori delegati e i direttori operativi.

Queste società dovranno garantire che le procedure di nomina dei consigli di amministrazione siano chiare e trasparenti, con una valutazione oggettiva di candidati e candidate sulla base dei loro meriti individuali. Con Women on borders, se due o più persone sono ugualmente qualificate per un posto ai vertici, la priorità dovrebbe andare alla persona del sesso sottorappresentato, pur dando la precedenza al criterio meritocratico, hanno specificato gli eurodeputati.

In Europa sono molte le donne altamente qualificate: circa il 60% deə attuali laureatǝ è di sesso femminile. Eppure, nelle posizioni di alto livello e nei consigli di amministrazione rappresentano il sesso sottorappresentato: solo un terzo dei membri dei Cda non esecutivi sono donne. «Tutti i dati mostrano che la parità di genere ai vertici delle aziende non si ottiene per pura fortuna», ha commentato l’eurodeputata Wolters.

La rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione non è distribuita in maniera uguale tra i 27 membri della comunità: l’Estonia, per esempio, ha il 9% dei seggi non esecutivi detenuti da donne, mentre la Francia il 45,3 %. L’obiettivo legale francese, infatti, è fissato al 40% e si tratta dell’unico Paese dell’Ue che supera tale percentuale.

Lo riporta l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, l’EIGE, un’agenzia dell’Unione europea che ha l’obiettivo di rendere l’uguaglianza di genere una realtà all’interno e all’esterno dell’Ue: le sue ricerche mostrano come, nel 2021, le donne occupassero il 30,6% delle posizioni nei Cda di tutta l’Ue.

Italia, Paesi Bassi, Svezia, Belgio e Germania hanno una percentuale che si avvicina a quella francese, con una partecipazione femminile tra il 36% e il 38%. La situazione è completamente diversa nella citata Estonia, in Ungheria, e a Cipro, dove meno di un amministratore non esecutivo su 10 era donna.

L’Eige mostra anche che le quote vincolanti della Francia e gli obiettivi nazionali fissati, dal 2010 in avanti, anche da Italia e Germania si sono dimostrati più efficaci nel migliorare l’equilibrio nei consigli di amministrazione rispetto a quei Paesi che hanno adottato misure più morbide o non le hanno adottate affatto.

Le autorità nazionali, che saranno responsabili dell’applicazione della direttiva, avranno il potere di infliggere delle sanzioni pecuniarie e i tribunali nazionali potranno annullare la selezione dei membri dei consigli di amministrazione se una società violerà la legge europea. Questa direttiva, però, non si applica alle aziende con meno di 250 dipendenti.

La prima proposta di legge risale al 2012, quando il piano era stato bloccato dai alcuni dei grandi Stati membri quali Germania e Regno Unito. Come spiega il Guardian, all’epoca fu la coalizione di governo tra i conservatori e i liberal-democratici britannici a preferire un approccio volontario, cosa che ha comunque portato il Paese a diventare uno dei migliori in Europa, secondo solo alla Francia con una percentuale di donne nei Cda del 39,1%.

La Germania, invece, ha votato a favore della proposta a marzo di quest’anno dopo l’opposizione del governo Merkel, secondo cui si trattava di una questione da affrontare sul piano nazionale: la ministra per gli affari familiari, gli anziani, le donne e la gioventù Anne Spiegel aveva definito la norma «un passo necessario verso una maggiore uguaglianza di genere».

Ora, una volta che Parlamento e Consiglio avranno formalmente approvato l’accordo, la direttiva entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Gli Stati membri dovrebbero attuare la direttiva due anni dopo la sua adozione.

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