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Cosa succede se si blocca Instagram?

È capitato a noi della Svolta: per due (lunghissimi) giorni siamo rimasti con l’account bloccato, senza poter scrivere il testo ai nostri post. Ma da un problema è nata un’idea: questa guida salva-influencer
di Redazione

Un post muto. Ma non come si usa dire oggi per quelle immagini che non meritano o non necessitano di essere commentate. No. Alla lettera. Perché il lunedì di pasquetta l’account Instagram della Svolta ha deciso di mandare il testo in ferie e interdirlo dal feed del giornale. Abbiamo provato a pubblicare un post, ma la didascalia che accompagnava l’immagine, nel gergo chiamata anche “caption”, si era volatilizzata.

Come inviare una segnalazione

All’inizio abbiamo pensato si trattasse di un bug, un malfunzionamento tecnico legato all’aggiornamento dell’app. Quindi per prima cosa abbiamo inviato una segnalazione a Instagram tramite la funzione accessibile dalle impostazioni dell’applicazione.

In attesa di chiarimenti abbiamo cercato strategie di comunicazione alternative per ovviare al problema. La prima iniziativa è stata quella di condividere tutti gli articoli utilizzando le “storie” di Instagram. Il giorno successivo abbiamo ritenuto di dover informare il pubblico dei lettori, quindi abbiamo pubblicato un carosello grafico in cui spiegavamo cos’era successo.

A quel punto, Instagram ha deciso di bloccare i commenti dell’account. Tutti potevano commentare, utenti e giornalisti della redazione, tranne La Svolta. Dopo 2 giorni il team di Meta ci ha comunicato che il problema è stato risolto. La sua origine potrebbe rientrare nei casi di rimozione dei contenuti in seguito a violazione o segnalazione.

In quali casi Instagram ti blocca?

Nelle linee guida della community pubblicate dal centro di assistenza di Instagram è elencata una serie di parametri da rispettare per evitare l’eliminazione dei contenuti, la disabilitazione dell’account o altre restrizioni.

Primo tra questi le norme sul diritto d’autore, che vietano di pubblicare contenuti dei quali non si detiene la proprietà intellettuale.

Nel 2015 Instagram ha inoltre aggiornato la policy in merito ai contenuti di nudo, che includono “video e altri contenuti creati con strumenti digitali che mostrano rapporti sessuali, genitali e primi piani di fondoschiena nudi”.

Il “caso” dei capezzoli femminili in vista

Il divieto si estende anche “ad alcune foto con capezzoli femminili in vista, tranne che nel contesto di allattamento al seno, parto e momenti successivi al parto, situazioni correlate alla salute o atti di protesta”. A riguardo di chi può pubblicare contenuti più espliciti - e chi no - si è espressa poche settimane fa sul suo profilo Instagram anche Veronica Benini (in arte Spora).

Una sua story era stata segnalata e rimossa perché aveva gli emoji delle stelline sul seno. In seguito anche tutte le foto del suo evento “9 muse di Milano” - sempre con le stelline - sono state rimosse perché non rispettavano le linee guida di Instagram.

Lo stesso tipo di immagine, però, non è stata rimossa ad altri profili come quello di Chiara Ferragni o di Victoria De Angelis, bassista dei Måneskin. Esiste quindi da parte di Instagram una diversità di trattamento? Perché la stessa regola non vale per tuttə?

Per motivi di sicurezza, Instagram si riserva di rimuovere, dove ritenga opportuno, anche le immagini che mostrano bambini nudi o parzialmente nudi. “Anche se questi contenuti vengono condivisi con buone intenzioni” si legge nelle linee guida del social network, “altre persone potrebbero usarli in modi imprevisti”.

Pubblicità e altri divieti

Per evitare lo spam, inoltre, Instagram invita a non pubblicare commenti o contenuti ripetitivi, non contattare le persone per fini commerciali senza il loro consenso, non offrire denaro in cambio di like e follower e non pubblicare contenuti che promuovono valutazioni o recensioni false o fuorvianti.

Nel rispetto della legge è vietato il sostegno al crimine organizzato e ai gruppi terroristici o di incitamento all’odio, l’offerta di prestazioni sessuali, la vendita o l’acquisto tra privati di animali, armi da fuoco, bevande alcoliche, tabacco, farmaci o sostanze stupefacenti per uso non terapeutico.

Per quanto riguarda i contenuti sensibili pubblicati a scopo informativo, Instagram invita a inserire una didascalia nella foto per informare gli utenti della presenza di immagini forti o violente.

In tutti i casi elencati, Instagram può disabilitare l’account senza preavviso e in modo definitivo. L’utente riceverà un messaggio che lo informa del provvedimento nel momento in cui tenti di effettuare l’accesso. Ma può accadere anche che l’account venga disabilitato per errore. In questo caso è possibile fare ricorso inserendo le proprie credenziali e seguendo le istruzioni fornite dall’app.

Cos’è lo shadowban

Spesso, su Instagram, accade anche un fenomeno chiamato “shadowban”: una sorta di “penalizzazione” delle attività social. Questa penalizzazione riduce la visibilità dei post nei feed (l’insieme dei post pubblicati sul profilo, ndr) degli hashtag che vengono utilizzati. È una sorta di “modalità ombra”.

I profili che vengono colpiti continuano infatti a vedere post e followers, che non sono invece visibili alle persone che i profili colpiti non seguono. Ovvero i potenziali nuovi follower. Rendendo quindi molto difficile la crescita del profilo. È come stare su un’isola, e non essere più in contatto con gli altri. E per chi fa l’influencer di mestiere, se i social media sono la propria fonte di reddito, è un vero e proprio danno.

Instagram, però, nega l’esistenza di shadowban. E invece questa ombra arriva - ed è dedicata, purtroppo - a chi su Instagram fa attivismo.

Cosa dicono gli attivisti

Lo racconta bene Benedetta Lo Zito, attivista e scrittrice: “Mi è stato disattivato l’account per tre volte da ottobre in poi, soprattutto quando ho iniziato a parlare dei casi di violenza maschile a Londra (dopo Sarah Everard, Nicole Smallman e Bibaa Henry). Con Elia Bonci e Valeria Fonte abbiamo ipotizzato segnalazioni di massa sui gruppi Telegram, oltretutto il profilo è in shadowban da quando ho iniziato a fare attivismo per il ddl Zan”

Elia Bonci, scrittore, autore e attivista LgbTqia+ aggiunge: “Durante il primo lockdown, il mio profilo ha iniziato a essere sempre in shadowban: zero copertura a post e stories. Dopo qualche tempo Instagram ha cominciato a rimuovere foto, video e stories senza alcun motivo. Sempre tutti per incitamento all’odio o per immagini sessualmente esplicite. I contenuti eliminati facevano tutti riferimento al mio percorso gender affirming e non presentavano foto di nudo o simili. Dopo varie segnalazioni, senza alcun preavviso, mi è stato eliminato il profilo da 40k. Mi è stato ridato dopo due mesi, con quasi 20k in meno e praticamente “morto”, inutilizzabile. Ho scoperto di essere finito in un gruppo Telegram in cui venivo segnalato in massa proprio perché volevano chiudere il mio (e non solo) profilo”.

I gruppi Telegram

Molti dei “blocchi” riconducono ai famigerati gruppi Telegram. Chi sono? Persone che si organizzano per fare segnalazioni di massa contro profili che si occupano di attivismo. All’attivista Valeria Fonte è successo con ben tre profili e proprio in questo momento si trova (di nuovo) col profilo disabilitato, senza preavviso e senza reali motivazioni. In precedenza, aveva risolto chiedendo al suo studio legale di aprire una “task” su Facebook per chiedere il ripristino, “altrimenti chissà quando e se ti torna indietro. È un problema perché esiste un doppio standard nel doppio standard. Ne parleremo nella prossima puntata con Meta.

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