Diritti

Celebriamo la Madre Terra

Le donne sono strettamente connesse alla natura (anche se non sentiamo quasi mai parlare delle “scienziate”), tanto che i Paesi con una forte rappresentanza politica femminile hanno più probabilità di ratificare trattati ambientali. Non esiste giustizia climatica senza parità di genere
Credit: Keagan Henman 
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
23 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

Se esiste una Giornata della Terra, dobbiamo ringraziare una donna. Si tratta di Rachel Carson, biologa e zoologa statunitense e autrice di un libro visionario, Primavera silenziosa, che nel 1962 ha anticipato molti dei temi ambientali sui quali iniziamo a discutere solo ai nostri giorni.

Il libro di Carson ha portato non solo alla fondazione della Giornata della Terra, ma anche alla creazione della Us Environmental Protection Agency (ovvero l’Agenzia per la protezione dell’ambiente del Governo statunitense che si occupa, appunto, della protezione dell’ambiente e della salute umana) e all’abolizione dell’utilizzo del Ddt sulle coltivazioni.

Ma nel corso dei secoli, sono state moltissime le donne scienziate (e non solo) che hanno dedicato la loro vita alla salvaguardia dell’ambiente, come Kate Sessions, Rosalie Barrow Edge, Marjory Stoneman Douglas; ma anche Dian Fossey, Jane Goodall o Wangari Maathai. Non ne hai mai sentito parlare? Non mi stupisce: le donne, anche nei libri, non esistono. Ma segui il mio consiglio: vai a cercarle e leggi che vite avventurose e coraggiose hanno avuto.

Quella delle donne con la Madre Terra è davvero una relazione particolare. Non è solo un luogo comune: lo dimostrano anche molte ricerche, al punto che, secondo le Nazioni Unite, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere rappresenta la migliore opportunità che abbiamo per affrontare molte delle sfide più urgenti del nostro tempo, compreso il cambiamento climatico.

In effetti, gli studi dimostrano che i Paesi in cui le donne hanno uno status sociale e politico più elevato (e dove quindi possono davvero decidere) hanno emissioni di CO2 inferiori del 12% rispetto alla media. Ancora: una ricerca condotta su 130 Paesi ha dimostrato che le Nazioni con un’elevata rappresentanza politica di donne hanno maggiori probabilità di ratificare i trattati internazionali sull’ambiente. Un ultimo: una revisione di 17 studi provenienti da tutto il mondo dimostra che la presenza delle donne nella gestione delle risorse naturali determina regole di estrazione più rigide e sostenibili e anche più trasparenza e maggiore responsabilità.

Sarà solo per un legame ancestrale? Sarà perché veniamo educate sin da piccole alla cura e all’empatia? Sicuramente sì. Ma sarà anche che la crisi climatica (come del resto quasi tutto) non è neutrale rispetto al genere.

Mi spiego meglio: gli effetti del riscaldamento del Pianeta e, in generale, del cambiamento climatico impattano di più proprio sulle donne. Secondo le stime delle Nazioni Unite, l’80% delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico sono donne. E, come se non bastasse, i dati dimostrano che la violenza contro le donne e le ragazze aumenta nelle situazioni di catastrofe climatica. Inoltre, uno studio durato 21 anni su 141 Paesi ha rilevato gli eventi catastrofici determinano una mortalità più alta nelle donne rispetto agli uomini.

E allora siamo in questa situazione: da un lato, le ricerche internazionali ci dimostrano che le donne sono attrici indispensabili e protagoniste del cambiamento ambientale necessario nelle loro comunità di riferimento; dall’altro, sono anche i soggetti più colpiti dalle calamità e dalle situazioni emergenziali, così come dal processo lento ma inesorabile dal cambiamento climatico.

Non sarà un caso, quindi, che le Nazioni Unite abbiano invitato a prendersi cura della Terra abbracciando soluzioni climatiche femministe, inclusive e intersezionali. Non può esserci giustizia climatica senza un approccio che dia priorità ai bisogni delle donne e delle ragazze e, in generale, delle persone socialmente ed economicamente più fragili.

Che poi, sono quelle più vulnerabili agli impatti climatici.

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