Ambiente

Giustizia climatica: piccola guida alla prima (deludente) sentenza italiana

Che cos’è la causa Giudizio universale e cosa è stato deciso sul riconoscimento dell’inadempienza dello Stato italiano nei confronti dei suoi impegni contro il climate change? Spoiler: nulla di rilevante
Credit: Andrwas Felske 

Il 26 febbraio è stata pubblicata quella che risulta essere la prima sentenza in Italia sul tema della giustizia climatica. Il Tribunale ordinario di Roma, pronunciandosi su una causa promossa da varie organizzazioni ecologiste nei confronti dello Stato, ha escluso di avere giurisdizione sul tema che, secondo la decisione, sarebbe di esclusiva competenza della politica, sebbene l’organo giudicante riconosca l’emergenza climatica quale “urgenza globale esistenziale”.

Gli attori coinvolti avevano chiesto di condannare lo Stato a mettere in atto le azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra, previste in vari accordi sottoscritti dal Paese in sede internazionale.

La sentenza solleva molte perplessità non solo per la decisione, ma anche per le motivazioni, sebbene lasci in quale modo la porta aperta alla possibilità che la giustizia climatica possa essere invocata presso altre corti, quali quelle amministrative.

Ma quali sono queste perplessità?

Il primato della politica

La sentenza esclude la possibilità del giudice ordinario di pronunciarsi in quanto le azioni di riduzione del cambiamento climatico di origine antropica sarebbero oggetto della discrezionalità politica.

Sul punto, però, i giudici non sembrano avere considerato che gli attori coinvolti hanno sostanzialmente richiesto il raggiungimento dell’obiettivo assunto dall’Italia in sede di trattati, non richiedendo, invece, ai giudicanti, di sostituire l’organo esecutivo nell’individuazione delle azioni concrete da svolgere.

La complessità delle questioni

Altra motivazione della decisione, che lascia davvero perplessi, è l’asserita complessità della questione che richiederebbe al tribunale il possesso di conoscenze di carattere multidisciplinare e scientifico delle quali ovviamente non è in possesso.

Come spesso accade, dichiarazioni di questo tipo sono talmente chiare che sembrano quasi convincere, se non fosse che i giudici si pronunciano da sempre su questioni complesse e, laddove le circostanze lo richiedano, possono ricorrere a consulenze tecniche o all’acquisizione di studi delle best available sciences.

Se così non fosse, non ci sarebbe cittadino che possa chiedere giustizia nei confronti di medici, ingegneri e geologici che non siano stati diligenti nell’esecuzione dei propri incarichi.

La responsabilità collettiva degli stati

Altro argomento utilizzato in maniera più o meno palese e che induce perplessità è l’affermazione secondo cui l’obiettivo di riduzione del riscaldamento globale è responsabilità collettiva degli Stati, che può essere raggiunto solo in modo collettivo.

Questo forse è l’argomento che più denota l’italica (assenza di) virtù: se qualcosa la devono fare tutti perché iniziare da me? La sentenza sembra però dimenticare che l’impegno è stato assunto in varie sedi internazionali su base individuale.

Il diritto alla salute e all’ambiente

Nelle motivazioni appare del tutto assente la considerazione che il diritto alla salute e la protezione dell’ambiente sono costituzionalmente tutelati e che, in particolare, il diritto alla salute è definito dall’articolo 32 quale “fondamentale”.

La decisione sembra trascurare inoltre il fatto che la tutela di questi stessi diritti trova fondamento in trattati internazionali, che la nostra Costituzione riconosce direttamente applicabili nel nostro ordinamento.

La giurisdizione amministrativa

Nel negare la propria giurisdizione, il tribunale ha comunque indicato nel giudice amministrativo la figura competente per decidere sulla questione, dal momento che le eventuali carenze riscontrate nell’azione di governo si riferirebbero a vizi relativi agli atti di programmazione afferenti i vari ministeri competenti.

Sarebbero quindi questi atti che dovrebbero eventualmente essere impugnati. Rimane il fatto che questi giudizi sarebbero quanto mai complessi e sottoposti a termini draconiani quanto alle impugnazioni.

Il primato della politica e i diritti dell’essere umano

Come detto, la decisione lascia perplessi. Il punto che forse più merita attenzione è quello della esclusiva riferibilità alla politica di decisioni che si riferiscono a beni fondamentali, tutelati dalla Costituzione.

Il primato della politica, così caro agli eletti che la considerano l’elezione quasi come investitura sacrale che legittimerebbe a fare di tutto, non dovrebbe mai giungere a violare i diritti fondamentali dell’essere umano, che sono spesso definiti quali “naturali” perché esistono a prescindere dal riconoscimento che uno Stato ne faccia.

In altri termini, non c’è voto popolare, anche quando quasi totalitario, che possa autorizzare uno stato a violare i diritti fondamentali a partire dalla protezione della salute.

La sentenza rappresenta quindi un’occasione persa per riaffermare questo principio. Di contro, è comunque solo un primo passo in una battaglia, quella della giustizia climatica, che è aperta in tutto il mondo e ora anche in Italia.

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