Diritti

Violenza di genere: che cos’è il reddito di libertà?

Il contributo introdotto nel 2020 (400 euro mensili da richiedere massimo per un anno) è destinato alle donne vittime di abusi, “sole o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza”. L’obiettivo è “sostenerne l’autonomia”, ma da solo non basta
Credit: Bayram Yalçın
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23 aprile 2024 Aggiornato alle 08:00

Dal 2020, sono state quasi 3.000 le donne che hanno beneficiato (alcune ancora ne beneficiano) del reddito di libertà: un supporto economico destinato alle vittime di violenza di genere per favorire l’emancipazione e l’autonomia economica.

Si tratta di una misura nazionale che le Regioni possono decidere di integrare con propri finanziamenti, introdotta con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre 2020, il cui articolo 3, comma 1, la definisce “un contributo stabilito nella misura massima di euro 400 pro capite su base mensile per un massimo di dodici mensilità, destinato alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita della violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia”.

Spesso la violenza di genere si manifesta anche nella dipendenza economica, che impedisce alla vittima di prendere le distanze dal partner. Secondo l’analisi condotta dall’Istituto Noto Sondaggi negli ultimi mesi del 2023, il 19% delle intervistate ha dichiarato di essere stata privata dei propri beni economici da parte del partner.

La dipendenza, in questo caso, rafforza il filo “invisibile” che tiene legata la vittima al carnefice, una condizione che risulta poi estremizzata quando si hanno figli. Il reddito di libertà punta all’emancipazione della donna; tra le condizioni necessarie affinché la domanda possa essere presentata: la denuncia contro l’aggressore. Tuttavia, questa non è sempre un’azione scontata, facile, per le vittime: in Italia, nonostante 1 donna su 3 abbia subito violenza, l’80% non denuncia, per paura e per i tempi di reazione da parte delle autorità eccessivamente lunghi.

Ma, per ricorrere al sussidio, le donne devono anche essere seguite da centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali: la domanda, che deve essere presentata all’Inps, deve essere corredata di apposita dichiarazione firmata dal rappresentante legale del Centro che ha preso in carico la vittima.

Dall’emanazione del Decreto fino a oggi, le domande presentate sono state oltre 6.000, delle quali 2.772 sono state accolte (469 in Lombardia, Regione con il maggior numero di beneficiarie, 285 in Campania, 280 in Lazio e 239 in Sicilia). Il reddito di libertà, inoltre, è stato reso strutturale dalla Legge di Bilancio 2024, che ha stanziato 10 milioni di euro l’anno in più per il biennio 2024-2026 e 6 milioni per il 2027.

Ma 400 euro al mese per un massimo di 12 mesi, bastano davvero per consentire l’emancipazione economica di una donna vittima di soprusi e violenze? Considerata la circolare Inps n. 166 dell’8 novembre 2021, che regolamenta e disciplina il Reddito di Libertà, evidentemente no: “Il sussidio è compatibile con altre misure di sostegno di varia natura (Reddito di Cittadinanza, REM, NASpI, Cassa Integrazione Guadagni, ANF, ecc.)”.

Tuttavia, essendo un sussidio la cui effettiva attuazione viene lasciata alla decisione delle singole Regioni, non tutte le donne vittime di violenza possono accedervi per mancanza di risorse nel territorio. Sicuramente, dove è possibile, il reddito di libertà può rappresentare un aiuto concreto ma, a lungo andare, è necessario integrarlo con forme di tutela ancora più specifiche.

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