Economia

Rinnovabili: riciclare i pannelli fotovoltaici potrebbe generare ricavi fino a 15 miliardi di dollari

Secondo Irena, riutilizzare le componenti legate alla produzione di energia solare porterebbe benefici economici e ambientali considerevoli entro il 2050, oltre a ridurre la dipendenza energetica europea dalla Cina
Credit: Susan Q Yin
Tempo di lettura 6 min lettura
16 aprile 2024 Aggiornato alle 16:00

Entro il 2050, secondo il rapporto End of Life Management: Solar Photovoltaic Panels di Irena, l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili, si potrebbero ricavare 15 miliardi di dollari a partire dal riciclo delle componenti di pannelli e moduli solari, che ritornerebbero dunque in circolo con una quota compresa tra l’85% e il 95% del totale.

L’analisi ha fornito per la prima volta la proiezione della quantità di Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) solari al lungo termine. Dalle 250.000 tonnellate di rifiuti da pannelli fotovoltaici prodotte nel 2016, si passerà entro il 2030 a ben 1,7 milioni di tonnellate e al 2050 si arriverà a quota 60-78 milioni. Se si investisse seriamente in un sistema di smaltimento, il valore di tutte le materie recuperabili potrebbe essere nel 2030 pari a 450 milioni di dollari, il corrispettivo sufficiente alla fabbricazione di 60 milioni di nuovi pannelli.

L’energia solare è una delle maggiori fonti rinnovabili su cui si punta per la decarbonizzazione e la transizione energetica. La capacità di produzione di energia solare globale è di oltre un terawatt. Se consideriamo che in media un pannello fotovoltaico ha la capacità di 400 watt, si parla allora di circa 2 miliardi e mezzo di pannelli solari fino a oggi installati in tutto il mondo. E il trend sicuramente si confermerà nei prossimi decenni, con l’aspettativa dunque di una crescita costante.

Tuttavia, uno dei problemi legati al fotovoltaico sta nel fatto che con il tempo i pannelli si rovinano e perdono efficienza, senza tenere conto delle innovazioni tecnologiche che hanno portato nel giro di pochi anni ad avere pannelli con una capacità due o tre volte superiore di generare energia. E così, dopo 15-30 anni diventa più economico ed efficiente dal punto di vista energetico rimpiazzare i vecchi modelli.

Riciclare dunque, conviene per evitare sprechi di numerosi materiali, talvolta anche importanti. All’interno di un pannello fotovoltaico comune, infatti, è possibile recuperare (a patto che questo sia in buone condizioni) mediamente 0,1 kg di schede elettriche, 0,2 kg di metalli vari, 1,7 kg di plastiche, 2,8 kg di silicio, 2,9 kg di alluminio, e 13,8 kg di vetro, recuperando inoltre 0,1 kg di schede elettriche, 0,2 kg di metalli vari, 1,7 kg di plastiche, 2,8 kg di silicio, 2,9 kg di alluminio, e 13,8 kg di vetro.

Nel settore del fotovoltaico il Paese più promettente è la Cina. Il 95% dei moduli solari installati ora nell’Ue è stato importato precedentemente dal Dragone, che può contare su una filiera in grado di rivendere questi prodotti a prezzi estremamente ridotti. Tuttavia, ciò è in contrasto con i target industriali di Bruxelles, che con il Net-zero industry act ha fissato per il 2030 un obiettivo minimo di produzione interna del 40% per tutte le cosiddette “tecnologie pulite (pannelli fotovoltaici inclusi). E se da un lato ciò implicherebbe una riduzione significativa della dipendenza dell’Ue dal gas russo, i numeri odierni lasciano intuire il rischio di una nuova dipendenza economica da un altro regime autocratico: quello cinese.

E l’occupazione europea risente molto della concorrenza asiatica. Già all’inizio dello scorso decennio l’Europa ha bloccato l’arrivo di moduli solari cinesi dopo che i produttori in difficoltà hanno esercitato pressioni per ottenere restrizioni alle importazioni, con la conseguenza di una contrazione delle installazioni di pannelli solari. Infatti, consumatori e utility si rivelano disposti a pagare solo fino a un certo punto per l’elettricità virtuosa.

Tuttavia, non appena le restrizioni commerciali sono state revocate 6 anni fa, gli impianti sono tornati a crescere, con i produttori europei di pannelli solari nuovamente in sofferenza. E ora stanno facendo pressioni per reintrodurre restrizioni alle importazioni, o almeno ricevere sussidi per rimanere a galla nella dura competizione con i fornitori cinesi, capaci di vendere la propria merce a circa la metà del costo di quelli europei, aiutati da costi della manodopera e dell’energia a basso costo, e anche da un ampio sostegno statale.

Ci si domanda allora se la manifattura europea riuscirà a reggere il confronto con quella cinese, che vanta anche il dominio sulla filiera produttiva: la Cina vale infatti circa l’80% della capacità produttiva mondiale di polisilicio (materiale di base indispensabile per i pannelli solari), il 95% della capacità produttiva di wafer, l’85% delle celle e il 75% dei moduli.

Infatti, come osserva uno studio di The European House- Ambrosetti, la produzione europea è la più costosa a causa degli elevati costi d’investimento (tra 2,2 e 5,6 volte superiore a quella cinese), ma anche per i tempi di costruzione e di attivazione più lunghi delle fabbriche (in Ue servono tra i 20 e i 40 mesi, in Cina tra i 12 e i 24) e della carenza di manodopera specializzata e di integrazione nelle fasi upstream.

E neanche i dazi doganali, che ridurrebbero i divari sacrificando tuttavia una quota di installazioni, basterebbero, in quanto la vera questione è legata alla supply chain, fortemente sviluppata in Cina, a differenza dei concorrenti europei.

Riciclare le componenti risulta allora importante. La Iea, Agenzia Internazionale dell’Energia, sottolinea come la mitigazione dei rischi possa partire da politiche a sostegno della sicurezza mineraria che pongano l’attenzione sul lato della domanda, in particolare attraverso proprio programmi di riciclaggio e supporto per l’innovazione tecnologica.

Ma quanto beneficerebbe l’Italia della transizione green? Secondo le stime Ambrosetti, il parco immobiliare italiano potrebbe ridurre del 53%-57% i suoi consumi energetici, oltre a produrre il 44% di CO2 in meno. Nello specifico, se tutti gli edifici fossero dotati di tecnologie efficienti si riuscirebbero a ridurre di oltre la metà i consumi energetici e del 7%-8% quelli idrici, con le emissioni di CO2 che calerebbero del 40-44% (circa 18-22 milioni di tonnellate di CO2, ovvero le emissioni degli impianti di riscaldamento dei Paesi Bassi).

Nello scenario più realista, l’efficientamento può ridurre fino al 29% i consumi energetici e fino al 5% quelli idrici, che equivalgono al 20-24% di emissioni di CO2 in meno (dalle 8 alle 12 milioni di tonnellate, quasi quanto le emissioni delle attività produttive in Polonia).

Dunque, riciclare i materiali legati ai pannelli e ai moduli fotovoltaici non solo aiuta a mitigare i rischi ambientali legati all’inquinamento generato dai rifiuti tecnologici, ma contribuisce a creare un valore economico straordinario, aiutando gli Stati a raggiungere l’indipendenza energetica e a lavorare in maniera pienamente sostenibile per conseguire la transizione energetica e rinnovabile. Un approccio, dunque, conveniente a tutti, dai singoli cittadini, che beneficerebbero dell’autonomia energetica, ai Governi nazionali.

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