Diritti

Uk: donna incinta discriminata perché definita “emotiva” al lavoro

Un tribunale ha stabilito che l’account manager definita “piagnucolosa” dal suo capo dopo il rientro dal congedo di maternità avrà diritto a un risarcimento dalla società Mitie, che opera nella gestione delle strutture e nei servizi professionali
Credit: Yan Krukau
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
5 aprile 2024 Aggiornato alle 09:00

Descrivere una donna incinta come “molto emotiva e piagnucolosa” sul posto di lavoro equivale a una discriminazione: lo ha deciso un tribunale del lavoro britannico analizzando il caso di una donna di Doncaster, nel South Yorkshire, che si è dimessa una volta tornata al lavoro dopo la nascita di suo figlio per il modo in cui è stata trattata. Mitie, che fornisce servizi professionali a molte organizzazioni internazionali, le dovrà dare un risarcimento.

Nell’aprile 2020, racconta il Guardian, l’account manager Nicola Hinds ha scoperto di essere incinta e lo ha comunicato ai suoi capi. Sei mesi dopo ha sollevato preoccupazioni sul suo carico di lavoro spiegando di aver sofferto di due attacchi di panico in una settimana. Il suo manager non le ha risposto e ha inviato un’email a un collega dicendo che la donna era “diventata molto emotiva e particolarmente piagnucolosa” e le suggeriva di andare in congedo non retribuito. Il tribunale ha definito “inadeguato” un incontro organizzato per discutere delle sue esigenze dopo il rientro dal congedo di maternità, nel giugno del 2021. Hinds ha presentato le proprie dimissioni per giusta causa nel settembre 2021.

La donna ha presentato una denuncia per discriminazione in merito alla descrizione della stessa nello scambio di email e alla gestione del suo reclamo, giudicata “inopportuna” nella sentenza pronunciata a febbraio 2024. Il giudice del lavoro Roger Tynan, che ha accolto le denunce, ha dichiarato che «il trattamento complessivo [di Mitie nei confronti di Hinds] nel periodo successivo al suo ritorno dal congedo di maternità fino al settembre 2021 è stato di per sé sufficientemente grave da distruggere la fiducia e la sicurezza, dandole così il diritto di dimettersi dal suo impiego».

Hinds, 37 anni, che si è rappresentata da sola durante il procedimento, è ora in attesa di ricevere un risarcimento dal suo datore di lavoro, che l’avrebbe etichettata come “una donna incinta emotiva e in preda agli ormoni e che, nelle particolari circostanze, la sua descrizione di lei come emotiva e piagnucolosa era sprezzante e sminuente”. La sentenza spiega che “la conclusione era che non avesse il pieno controllo delle sue emozioni a causa della gravidanza e che di conseguenza facesse richieste irragionevoli, quando in realtà stava vivendo un significativo stress da lavoro nelle fasi avanzate della gravidanza, aveva sofferto di due attacchi di panico in breve tempo, si sentiva sopraffatta, era preoccupata di deludere gli altri ma altrettanto preoccupata di poter stare male seriamente”.

Hinds, intervistata dalla Bbc, ha spiegato che il linguaggio usato dal suo manager per descriverla è stato «offensivo. Sì, ero incinta, ma gli ormoni o le emozioni che stavo vivendo in quel momento non erano dovuti al fatto che ero una donna incinta, ma perché ero un’impiegata esausta». Ha detto di aver presentato le dimissioni perché «ho sentito che non potevo più lavorare per un’azienda che mi faceva sentire continuamente un fastidio. Mi sembrava che stessero facendo di tutto per cambiare tutto ciò che mi circondava per farmi sentire a disagio». La decisione di rappresentarsi da sola «non era solo per rimediare al dolore e alle sofferenze inimmaginabili che mi avevano fatto passare, ma anche per dare speranza a tutte le altre neomamme e mamme in attesa, per dimostrare loro che è possibile farcela senza le ingenti spese legali e con il giusto sostegno».

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