Diritti

7 donne su 10 hanno subito molestie sul luogo di lavoro

Una fotografia preoccupante dell’occupazione femminile in Italia è stata proposta dal sondaggio Ti Tocca, realizzato da Fondazione Libellula su oltre 11.200 professioniste dai 18 ai 60 anni
Credit: Martin Siblík  

Il posto di lavoro è davvero un luogo sicuro per una donna?

Partiamo da un quadro generale.

Secondo un rapporto del Parlamento Europeo, pubblicato nel maggio del 2023, il 50% delle vittime di violenza e molestia le ha sperimentate proprio nell’ambiente lavorativo. E l’Italia, in particolare, come riporta il Gender Inequality Index Report delle Nazioni Unite dello stesso anno, da oltre un decennio è fanalino di coda dell’Europa in tema di parità di genere, segregazione lavorativa e partecipazione ai processi decisionali da parte delle donne.

Battute sessiste o volgari sembrano all’ordine del giorno in ufficio.

Circa 7 donne su 10 affermano di essere state vittime di molestie, cioè di aver ricevuto complimenti, allusioni e osservazioni sul proprio aspetto che le hanno messe a disagio. Un’esperienza a cui sembrano andare incontro più spesso, e non a caso, le lavoratrici senza un partner stabile o che lavorano in aziende di piccole dimensioni, con meno di 49 dipendenti.

Sono i dati che emergono dalla indagine L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione) 2024, dal titolo Ti Tocca, condotta da Fondazione Libellula tra dicembre 2023 e gennaio 2024 su un campione di 11.201 professioniste dai 18 ai 60 anni. Un report che offre una visione a 360 gradi dell’occupazione femminile e delle condizioni lavorative delle donne in Italia.

I risultati dell’indagine sono stati presentati presso la sede milanese della naturetech company italiana 3Bee, partner ospitante e co-organizzatore dell’evento.

In ufficio, contatti fisici indesiderati, avance esplicite e richieste sessuali

Ad allarmare sono anche altri dati: il 40% ha subito contatti fisici indesiderati. Fondazione Libellula, che è il primo sportello nazionale che ascolta e offre sostegno gratuitamente alle lavoratrici discriminate o vittime di molestie, ha registrato un aumento dell’81% degli episodi di questo genere sul posto di lavoro rispetto al 2022 (anno in cui la fondazione ha svolto la stessa indagine).

Inoltre, il 43% ha ricevuto avance esplicite e il 27% ha segnalato richieste, ricatti e comportamenti di natura sessuale non graditi o non sollecitati.

È un quadro che trova conferme anche nell’indagine Istat del 2018 e sembra peggiorare progressivamente. All’epoca un milione e 404.000 donne, tra i 15 e i 65 anni, avevano denunciato molestie e ricatti sessuali subiti nel corso della propria vita lavorativa.

Il 50% delle donne cambia modo di vestire a lavoro

Per evitare commenti e incontrare meno ostacoli nel fare carriera, le lavoratrici cambiano il proprio modo di vestire, eliminando dall’armadio capi d’abbigliamento considerati “femminili”.

È il cosiddetto power dressing, cioè uno stile e un modo di vestire nato tra gli anni ‘70 e ‘80, che conferirebbe maggiore autorevolezza alle donne in un ambiente professionale e politico. Circa una donna su due, infatti, ammette di essersi sentita condizionata dall’ambiente lavorativo nelle scelte in fatto di abbigliamento e di aver cambiato stile per renderlo meno femminile: una decisione particolarmente frequente per quelle più giovani o senza una relazione stabile.

Il paradosso delle donne al comando, ancora più discriminate

Le donne agli apici sono davvero poche secondo il rapporto Sesso è potere 2023, realizzato dalle associazioni no profit info.nodes e onData, che analizza la rappresentanza femminile nel mondo accademico, della politica, dell’economia e dei media in Italia: sono solo due le donne leader nelle prime 50 aziende italiane. Questo a dispetto del fatto che le donne siano di più (51,3% contro il 48,7% di uomini), generalmente più istruite degli uomini, con il 65,3% delle cittadine diplomate contro il 60,1% tra gli uomini e le laureate che arrivano al 23,1%, contro il 16,8% tra gli uomini.

Anche secondo i risultati pubblicati dalla Consob nel 2022 le presenze femminili si attestano appena al 2% dei casi tra le amministratrici delegate e al 4% tra le presidenti di aziende.

Più si sale di livello, poi, più aumentano paradossalmente le discriminazioni e le molestie. L’incremento più significativo si registra soprattutto per quanto riguarda le avances esplicite e indesiderate: la media complessiva del 43% sale al 54% per le manager e al 64% per cento per le imprenditrici.

Un balzo che potrebbe dipendere da due principali fattori: o da una maggiore consapevolezza da parte delle professioniste che rivestono ruoli apicali degli abusi subiti o dal fatto che più una donna occupa posizioni storicamente di appannaggio maschile più rischia di essere vittima di comportamenti che mirano a depotenziarla, sminuirla o persino oggettificarla.

Il 60% di loro si sente dire che “le donne non hanno competenze da leader” e “meno competenze degli uomini” in generale. La stessa percentuale di lavoratrici subisce l’atteggiamento sessista di chi a lavoro le si rivolge non con il titolo che possiede, ma con l’appellativo di “signorina” o “signora”.

Non è un caso che le donne, anche quelle con ruoli più alti, vengano interrotte quotidianamente durante le riunioni e vengano ascoltate meno dai colleghi uomini: si tratta del fenomeno del “manterrupting” (da “man”, uomo e “interrupting”, interrompere).

Ad alimentare questo sistema è la segregazione verticale e orizzontale: l’82% delle lavoratrici vede gli uomini crescere professionalmente più rapidamente e il 60% ha una retribuzione inferiore a quella del collega a parità di grado, responsabilità e anzianità. La metà delle donne coinvolte nel sondaggio non ha mai avuto il coraggio di chiedere un aumento di stipendio perché “se lo merito sarà l’azienda a proporlo”.

Maternità e lavoro, un binomio che ancora non funziona

C’è poi la questione delle mamme lavoratrici. Quasi il 70% di loro sono svantaggiate nella crescita professionale e in termini remunerativi proprio a causa della maternità (child penality). La stessa percentuale di professioniste sente allusioni e commenti rispetto alle conseguenze negative della propria eventuale maternità per l’azienda in cui lavora. Anche per questo il 50% delle professioniste non si sente libero di parlare delle proprie responsabilità familiari e di cura.

5 consigli pratici di Fondazione Libellula

1. Chiedi che vengano attuati progetti di sensibilizzazione e formazione per tutto il personale su come riconoscere gli stereotipi e le discriminazioni che abbiamo interiorizzato e su come queste possano tramutarsi in micro-aggressioni più o meno consapevoli.

2. Informati su quali sono gli strumenti a disposizione in azienda: esiste una policy anti-molestie? È stata condivisa? C’è uno sportello o una Consigliera di Fiducia da poter contattare in caso di dubbio o segnalazione?

3. Fai sentire il tuo sostegno a una neo-mamma che ritorna al lavoro dopo il congedo di maternità, fai lo stesso con un neo-papà. Proponi un’attività per supportare la genitorialità condivisa.

4. Viviti come parte attiva del cambiamento: in alcune aziende, come quelle del Network Libellula, è possibile ricevere una formazione specifica su queste tematiche.

5. Contatta lo Sportello L.E.I. che Fondazione Libellula ha dedicato alle lavoratrici in cerca di ascolto e orientamento per casi di discriminazioni, molestie e violenze.

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