Diritti

La Groenlandia invita la Danimarca a parlare con le donne Inuit vittime di contraccezione forzata

La ministra dell’uguaglianza di genere Nathanielsen ha esortato Løhde, ministra della Salute danese, a «salire su un aereo» per ascoltare dal vivo le testimonianze delle cittadine a cui, tra gli anni ‘60 e ‘70, è stata impiantata la spirale anticoncezionale senza consenso
Ministra per l'uguaglianza di genere in Groenlandia Naaja Nathanielsen
Ministra per l'uguaglianza di genere in Groenlandia Naaja Nathanielsen Credit: Twitter.com/@ Arctic Circle
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
2 aprile 2024 Aggiornato alle 17:00

Per la prima volta da quando le donne groenlandesi hanno iniziato a denunciare quanto subito negli anni ‘60 e ‘70, la ministra per l’uguaglianza di genere in Groenlandia Naaja Nathanielsen ha esortato Sophie Løhde, ministra della Sanità in Danimarca, a «salire su un aereo, incontrare queste donne e parlare con loro. Ti dà una prospettiva diversa». Lo ha dichiarato in un’intervista al Guardian un mese dopo che 143 donne hanno citato in giudizio lo Stato danese per presunte violazioni legate alla contraccezione forzata che avrebbe colpito almeno 4.500 donne e ragazze groenlandesi tra il 1966 e il 1970.

Il Governo danese non ha ancora risposto alla Groenlandia, nonostante il primo ministro della Danimarca abbia visitato il Paese subito dopo insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per aprire un nuovo ufficio a Nuuk.

La Groenlandia non ha avuto un proprio Governo né un parlamento fino al 1979, ma ha smesso di essere una colonia danese nel 1953. Da allora le condizioni di vita migliorarono e la popolazione iniziò a crescere: per questo, secondo le testimonianze delle donne che si sono esposte, le autorità danesi misero in atto un programma di controllo delle nascite per riuscire a dimezzare il tasso di natalità nel giro di pochi anni. Si ritiene che almeno 4.500 donne e ragazze ne siano state vittima.

Questa storia è rimasta nel mistero fino a pochi anni fa. Tutto è iniziato dalla testimonianza su Facebook di una donna, Naja Lyberth che ha rotto il silenzio nel 2017. Ha raccontato che il dolore, quando le hanno inserito una spirale senza il suo consenso, da adolescente, era stato «indescrivibile». Poi, nel podcast Spiralkampagnen (che significa “campagna a spirale”) dell’emittente pubblica danese DR due giornaliste hanno indagato la cosiddetta “campagna Iud”, in cui alcuni medici danesi avevano installato dispositivi intrauterini su donne e ragazze di 13 anni in Groenlandia.

L’indagine ha rivelato che tra la fine degli anni ‘60 e la metà degli anni ‘70 questa pratica riguardava circa la metà delle donne e delle ragazze in età fertile della Groenlandia. Molte apparentemente non avevano dato il loro consenso né avevano ricevuto informazioni a riguardo. Da quando sono uscite le prime puntate del podcast, nel 2022, le vittime della pratica che si ritiene sia stata perpetrata dalle autorità danesi hanno capito di non essere sole. E hanno iniziato a raccontare.

Le storie sono tante, i ricordi vividi. Hedvig Frederiksen aveva 14 anni quando entrò in una stanza d’ospedale e le misero qualcosa che ora fa fatica a ricordare per via del trauma. Oggi, a 63 anni, ancora piange quando sua figlia racconta per lei la sua storia. È una delle 143 donne che hanno fatto causa allo Stato danese chiedendo un pagamento collettivo di quasi 43 milioni di corone danesi per quella che descrivono come una violazione dei loro diritti umani. Bula Larsen, che ricorda gli strumenti freddi utilizzati dal medico per inserire il dispositivo, aveva solo 14 anni. Le dissero che la ragione dietro quella procedura era per non farla rimanere incinta.

C’è uno schema ben preciso nei racconti delle donne groenlandesi: tutte sono state chiamate per una visita, senza preavviso, e si sono trovate in una stanza con un medico, a volte affiancato da un’assistente, che le ha dotate di una spirale contraccettiva senza che lo sapessero. Molte di quelle bambine, oggi donne, hanno visto inserire nei loro corpi dei dispositivi spesso non sofisticati, troppo grandi per loro, che portavano con sé grandi rischi di infezione. Le vittime e i loro avvocati sostengono che generazioni di donne Inuit siano rimaste traumatizzate e abbiano sperimentato gravi difficoltà riproduttive, inclusa l’infertilità, a causa della politica dello Stato danese.

La ministra groenlandese Nathanielsen, che la scorsa settimana ha incontrato gruppi per i diritti umani, prevede di presentare un piano al Governo groenlandese a fine aprile su come portare avanti un’indagine. Rivolgendosi alla ministra danese Løhde, ha detto al Guardian che «è stata invitata più volte e non ha ancora trovato il tempo nella sua agenda per venire». Il ministero dell’Interno e della Sanità danese hanno rifiutato di commentare e hanno dichiarato di non essere a conoscenza di un’indagine groenlandese su questi fatti.

La reazione della Danimarca allo scandalo, secondo Nathanielsen, è stata «lenta», e questo ha spinto la Groenlandia ad avviare una propria indagine. Il Governo groenlandese ha competenze in ambito legislativo, giudiziario e nella gestione delle risorse naturali, ma Copenaghen controlla ancora gli affari esteri e la difesa. La Groenlandia è un territorio autonomo danese. «Abbiamo deciso collettivamente, io e il ministero della Sanità [groenlandese], che avevamo bisogno di un’indagine sulle violazioni dei diritti umani - ha spiegato Nathanielsen - Non vedevamo l’ora che l’amministrazione politica danese si rendesse conto che era necessario. Dobbiamo andare avanti adesso, noi stessi». Anche la Danimarca ha avviato un’indagine sulla vicenda, chiamata Coil Case, sulle pratiche di controllo delle nascite effettuate dalle autorità danesi tra il 1960 e il 1991 (la Groenlandia ha ottenuto il controllo della sua politica sanitaria nel 1992). Ma l’indagine si concluderà solo nel 2025.

Per Nathanielsen lo scandalo si inserisce «nella storia dei bambini adottati senza il consenso dei genitori, dei bambini mandati in Danimarca, a dimenticare la loro lingua e la loro cultura. Si tratta di storie di uomini danesi che arrivano in Groenlandia e generano figli di cui poi non si assumono la responsabilità». Si tratta di «una parte di questa questione sia coloniale che postcoloniale che è ancora molto presente in Groenlandia nel nostro modo di vedere il nostro rapporto con la Danimarca. E prima i danesi arriveranno a questa realizzazione, prima potremo lasciarci alle spalle questa situazione».

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