Diritti

Quei bambini Inuit strappati dalla loro terra

Nel 1951 un programma sociale del governo di Copenaghen allontanò 22 minori groenlandesi dai loro genitori per farne una èlite di lingua danese. La prima ministra Mette Frederiksen oggi si è scusata pubblicamente con i sopravvissuti
La prima ministra danese Mette Frederiksen si scusa personalmente con sei Inuit groenlandesi che furono separati dalle loro famiglie più di 70 anni fa
La prima ministra danese Mette Frederiksen si scusa personalmente con sei Inuit groenlandesi che furono separati dalle loro famiglie più di 70 anni fa Credit: EPA/Liselotte Sabroe DENMARK OUT
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 marzo 2022 Aggiornato alle 18:00

Settant’anni fa un gruppo di Inuit della Groenlandia venne allontanato dalle famiglie e portato a Copenaghen come parte di un esperimento sociale per creare una sorta di èlite di lingua danese. Era un modo per modernizzare la grande isola oggi autonoma, situata tra l’oceano Atlantico del Nord e l’oceano Artico.

Sei di quelli che all’epoca erano solo bambini hanno ricevuto solo questa settimane le scuse ufficiali della prima ministra Mette Frederiksen, durante una cerimonia che si è svolta nella capitale mercoledì 9 marzo. «Quello a cui siete stati sottoposti è stato terribile. Disumano. Ingiusto. E spietato. Possiamo assumerci la responsabilità e fare l’unica cosa giusta, ai miei occhi: scusarci per quello che è successo», ha detto Frederiksen, in piedi davanti a loro e al primo ministro della Groenlandia, Mute Egede.

Gli altri 16 non hanno potuto sentirle, quelle scuse, perché sono deceduti. Secondo i sopravvissuti, sono morti di dolore: lo hanno riferito al loro avvocato, Mads Pramming, che era stupito che fossero rimasti in così pochi.

Oltre alle scuse formali, sono arrivati anche i risarcimenti economici: ciascuno dei bambini, oggi 70enni, ha avuto 250.000 corone, equivalenti a circa 33.600 euro. «Due settimane fa hanno ricevuto le scuse per iscritto, poi il risarcimento per la violazione dei loro diritti umani, e ora il faccia a faccia», ha spiegato alla Bbc Mads Pramming. Il risarcimento era già stato richiesto in precedenza, ma a novembre era stato respinto. L’azione legale intrapresa da Pramming a Natale del 2021 ha raccolto i suoi frutti.

Era il 1951 quando 22 bambini Inuit, la piccola popolazione indigena delle coste artiche dell’America, distribuita dalla Groenlandia sino all’Alaska, vennero prelevati e inviati in Danimarca, la principale potenza coloniale della Groenlandia: avevano tra i 5 e gli 8 anni.

Come ha spiegato alla Bbc nel 2015 una di loro, Helene Thiesen, per scegliere i bambini più “bisognosi di una vita migliore” vennero interpellati insegnanti e sacerdoti. Le famiglie prescelte erano inizialmente riluttanti, ma alla fine lasciarono salpare la nave MS Disko da Nuuk. Gli fu promesso che i figli avrebbero avuto una vita migliore, avrebbero imparato la lingua danese e sarebbero tornati a casa con un bagaglio culturale che gli avrebbe permesso di fondare questo cosiddetto “modello” per collegare le culture danesi e indigene.

Il progetto, descritto come prestigioso dalle riviste dell’epoca, venne deciso di comune accordo dalle autorità di Copenaghen e quelle di Nuuk, la capitale groenlandese. Persino la regina di Danimarca andò a trovare i bambini Inuit. Thiesen aveva 7 anni quando venne separata dalla madre, rimasta sola con tre figli dopo la morte del padre. Le disse che la Danimarca era «proprio come il Paradiso, non devi essere triste».

Oltre alla separazione materiale dalle famiglie, l’accordo prevedeva che non ci fosse alcun contatto tra i genitori e i bambini. Dopo due anni, nel 1953, sedici dei ventidue vennero rispediti indietro, ma mandati in orfanotrofio, mentre gli altri vennero affidati a delle famiglie danesi. Una volta tornati, «non ci era permesso giocare con i bambini groenlandesi né parlare groenlandese», ha raccontato alla Bbc Kristine Heinesen, oggi 76enne. Ma, incapaci di parlare la lingua locale, ormai dimenticata, furono emarginati nel loro stesso Paese d’origine.

Molti di loro, nel corso di questi 70 anni, non hanno mai più rivisto le vere famiglie e hanno lottato con enormi problemi d’identità. Alcuni, come Thiesen, non hanno saputo di essere stati portati via dalla famiglia d’origine fino al 1996, all’età di 52 anni. Altri addirittura l’hanno scoperto da un libro, pubblicato nel 1998, intitolato I den Bedste Mening, cioè “Nel migliore dei sensi”, della danese Tine Bryld: fino ad allora l’opinione pubblica è rimasta all’oscuro della vicenda.

Un’indagine condotta nel 2020, commissionata dal governo danese precedente, ha rilevato che la metà dei bambini, nel corso del tempo, ha avuto problemi di salute mentale o abuso di alcol. Ci sono stati casi di senzatetto, la maggior parte è morta relativamente presto e uno di loro si è tolto la vita.

Questa storia rimarrà una delle pagine più buie di sempre per la Danimarca.