Liberi di scegliere una vita lontano dal clan
Nascere in una famiglia malavitosa a volte equivale ad avere un marchio, invisibile ma potentissimo, tatuato sulla pelle. Un segno che indica implicitamente un passaggio di consegne tra padri, madri, figli e figlie, ma che può essere cancellato.
Riuscirci non è semplice e per questo fare rete e costruire percorsi alternatici è di vitale importanza.
Con questa convinzione nel 2012 l’attuale presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, Roberto Di Bella, ha creato il protocollo Liberi di scegliere, che mira a salvare i bambini e gli adolescenti che vivono in contesti mafiosi, allontanandoli dalle famiglie d’origine. Dopo i primi anni di attività in Calabria, a fianco di minori appartenenti a famiglie affiliate alla ‘Ndrangheta, il progetto arriva adesso anche in Sicilia e a Napoli.
Durante la firma del protocollo da parte dei magistrati di Palermo e Napoli, di cinque ministeri - Giustizia, Interno, Istruzione, Università e Famiglia - della Direzione nazionale antimafia e della Conferenza episcopale italiana, il ministro delle Giustizia Carlo Nordio ha parlato di «momento storico nella lotta alla mafia».
Una piaga per il nostro Paese, che si perpetua senza sosta e che per essere arginata non può che essere colpita alle fondamenta, con azioni volte a impedire che i minori a rischio seguano le orme dei genitori in una vita criminale. Solo in questo modo è possibile sperare di rompendo il ciclo attraverso il quale il potere viene tramandato di generazione in generazione attraverso i legami di sangue e la sacralità della lealtà familiare, impartita fin da piccolissimi.
«Ci sono bambini a cui viene insegnato a sparare a otto anni, altri che a quell’età spacciano crack», ha sottolineato durante la presentazione Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare antimafia. Altri ancora sono stati costretti a uccidere la madre per difendere l’onore della famiglia.
Piccoli che dovrebbero andare a scuola ma che spesso disertano le aule, come testimoniano i dati sull’abbandono scolastico di OpenPolis, secondo il quale in Sicilia e in Campania nel 2022 oltre il 15% dei giovani ha lasciato la scuola prima del tempo. Una volta abbandonato il banco, quello che li attende è quasi sempre la strada e il miraggio di guadagni facili e bella vita grazie a scorciatoie criminali.
«Dobbiamo demistificare il modello o il mito del boss mafioso tra i giovani: a Catania nel rione San Cristoforo ci sono ragazzi il cui mito è il capomafia Benedetto Santapaola, detenuto da oltre 30 anni, che non può essere un esempio», ha sottolineato Roberto Di Bella.
Dall’inizio del progetto sono stati circa 150 i bambini allontanati dalle famiglie malavitose e indirizzati a famiglie affidatarie o comunità in località segrete sparse in tutta Italia, dove stanno conoscendo una quotidianità al di fuori dei clan. 30 madri, inoltre, hanno scelto di seguire i propri figli, 7 delle quali sono diventate testimoni di stato.
Alle madri, e alle donne in genere, spetta spesso il compito più difficile. Non tutte riescono o possono diventare collaboratrici di giustizia, per questo l’auspicio di Di Bella è che il protocollo possa diventare presto una legge con finanziamenti stabili che consentano di tenere al sicuro madri e figli e alle donne di godere di un assegno di inclusione e di essere inserite in un programma di accompagnamento all’autonomia.
Durante la firma del protocollo presidente del Tribunale per i minorenni ha anche raccontato che un boss catanese, invischiato con il narcotraffico e tornato in carcere alcuni mesi fa, gli ha scritto una lettera per ringraziarlo di quanto fatto per i suoi nipoti. “Mi sono reso conto che i bambini non possono fare la vita che ho fatto io, entrando e uscendo dal carcere. Loro hanno diritto a un destino migliore”. Una presa di coscienza che lo ha spinto a decidere di diventare un collaboratore di giustizia.
La famiglia è uno dei pilastri fondanti delle mafie ed è da lì che si deve partire per smantellarle.