Economia

Superbonus: ultimi giorni per beneficiare della misura

L’operatività della maxi detrazione (insieme a molte altre agevolazioni edili) è agli sgoccioli: c’è tempo fino al 4 aprile per scegliere tra lo sconto in fattura o la cessione del credito d’imposta
Credit: Lena Polishko 
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25 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

Parte ufficialmente il conto alla rovescia verso il termine ultimo entro cui i contribuenti potranno trasmettere in via telematica all’Agenzia delle entrate l’opzione relativa alla fruizione dei vari bonus edilizi. Grazie a una proroga contenuta all’interno di un provvedimento emanato dal direttore dell’Agenzia lo scorso 21 febbraio, entro il 4 aprile 2024, si dovrà comunicare la scelta di utilizzare lo sconto in fattura (anticipato dai fornitori che hanno eseguito gli interventi) o la cessione del credito d’imposta agli istituti di credito e altri intermediari finanziari, in virtù di quanto stabilito dall’articolo 121 del dl 34/2020 (così come aggiornato dalle più recenti leggi), ossia il famoso decreto Rilancio che durante la pandemia ha introdotto il Superbonus 110%.

Il tutto si riferisce alle rate residue non ancora fruite delle detrazioni relative alle spese sostenute nel 2020, 2021 e 2022, oltre a quelle del 2023, purché i crediti di imposta non si riferiscano a cantieri avviati dopo il 17 febbraio, ossia il termine da cui parte il blocco generalizzato dei crediti derivanti dai bonus edilizi stabilito dal decreto (ribattezzato per l’appunto blocca cessioni) numero 11 del 2023.

La maxi detrazione, istituita nel 2020 per rimettere in moto l’economia italiana dopo il torpore generato dalle chiusure della pandemia, ha rapidamente esteso il suo bacino di fruitori fino a sfiorare i 150 miliardi di spesa totale a carico dei conti pubblici. Lo si percepisce immediatamente dall’ondata di pagamenti per i bonus edilizi nell’ultimo anno, analizzando le ritenute d’acconto dell’11% che le banche applicano sui bonifici effettuati per i lavori edilizi che beneficiano delle agevolazioni, che solo a dicembre 2023 ammontavano a circa 6,95 miliardi di euro.

Inoltre, osservando le asseverazioni trasmesse all’Enea (cioè documenti tecnici che attestano la congruità delle spese sostenute per i lavori di riqualificazione energetica e la correttezza dei lavori realizzati in modo da permettere l’accesso alle detrazioni fiscali) si nota come sempre a dicembre dello scorso anno siano arrivati 9,66 miliardi tra investimenti per lavori o Sal (stato di avanzamento lavori) finalizzati. Questo dato record, raggiunto nella fretta di evitare il taglio del superbonus fino al 70%, potrebbe essere addirittura sottostimato, in quanto le asseverazioni di fine 2023 possono essere comunicate all’Enea entro 90 giorni. Dunque, è ragionevole prevedere che entro la conclusione del mese di marzo la cifra potrà lievitare.

Di fronte a queste cifre, preoccupa lo stato di sostanziale congelamento del mercato dei crediti edilizi, in cui le banche non acquistano e Poste li accetta solo per importi ridotti, bloccando la strada alla cessione dei crediti da parte delle imprese che hanno gestito lavori di riqualificazione, e dunque alla possibilità di ottenere sconti in fattura fra i cittadini proprietari di immobili ristrutturati. L’alternativa più utile ad accelerare il processo di scambio e garantire maggiore liquidità sembra essere dunque la cessione di crediti fra privati, che permette a un privato di acquistare crediti edilizi da un’impresa o un altro privato, per poi utilizzarli per compensare le proprie imposte.

La fattibilità di una simile strada sembra essere piuttosto solida se ci si basa sulle rivelazioni di InfoCamere (società che gestisce il sistema telematico delle Camere di commercio), che setacciando fra oltre un milione di bilanci 2022 di società di capitale ha individuato una capienza fiscale delle imprese italiane ancora piuttosto ampia. In particolare, fra le società con almeno 100.000 euro di liquidità disponibile, i debiti a breve termine compensabili ammonterebbero a circa 68 miliardi, di cui 50,8 per somme dovute all’Erario a titolo di imposte, tasse e altri versamenti obbligatori e i restanti 17,2 verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale.

Nell’attesa che si faccia chiarezza su come gestire il mercato dei crediti, senza impattare ulteriormente sulle casse pubbliche, rimane fermo il nodo della transizione energetica. Il testo della direttiva europea sulle case green, seppure ammorbidito rispetto alle versioni precedenti, punta comunque a ridurre i consumi degli edifici abitabili del 16% entro il 2030, obiettivo raggiungibile solamente attraverso lavori di riqualificazione e ammodernamento sugli immobili più vecchi e inquinanti. Il tema si espande a macchia d’olio su tutti i target di neutralità climatica previsti a livello europeo entro il 2050, la cui spesa complessiva si aggirerebbe intorno ai 620 miliardi di euro l’anno. Una cifra irrealizzabile senza il concreto potenziamento del mercato unico europeo, ossia l’area nata nel 1993 per abbattere le barriere commerciali fra Stati membri e garantire la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone all’interno dei territori dell’Unione europea.

Una risorsa fondamentale per stimolare la competitività a livello globale e dunque generare effetti positivi in termini di innovazione e sviluppo tecnologico, oltre che commerciale e sociale. Eppure, i dati raccolti in uno studio curato da Cassa Depositi e Prestiti evidenziano come gli scambi interni all’Unione rappresentino solamente il 26% del Pil, mentre negli Stati Uniti arriva fino al 60%, dove tra l’altro il 25% dei cittadini vive e lavora in uno stato diverso da quello di nascita, contro il 3% degli europei. Complice, fra i numerosi motivi, la forte disparità di sistemi fiscali dei Paesi membri, che vede aree con aliquote fino al 35% e intere zone talmente generose da essere ribattezzate “paradisi fiscali”.

Il tutto a fronte di un continuo sostegno assicurato mettendo mano alle finanze pubbliche, da parte degli stati membri più indebitati, per aiutare cittadini e imprese. Non a caso, lo studio evidenzia che “nel 2021 l’ammontare degli aiuti nazionali in rapporto al Pil” per Germania, Francia e Italia “è stato rispettivamente del 3,4%, 2,5% e 1,7%, a fronte di un debito pubblico pari rispettivamente al 66%, 112% e 142%”. Una mancata armonizzazione che mette a rischio la transizione verso la sostenibilità ambientale e che da giugno sarà tutta nelle mani di un nuovo Parlamento europeo.

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