Bambini

Baby influencer e genitori manager disposti a tutto

Sono sempre di più i profili social di bambini che attirano le attenzioni di pedofili e predatori sessuali, assecondati anche da genitori che in nome dell’engagement e di guadagni facili giocano sulla sicurezza dei figli
Credit: Freepik 
Tempo di lettura 8 min lettura
23 marzo 2024 Aggiornato alle 11:00

Negli ultimi tempi si sta parlando sempre più spesso del tema dell’esposizione online dei minori, analizzandone rischi reali e digitali.

In particolare si sta discutendo del fenomeno dello sharenting, che sebbene ufficialmente indichi la pubblicazione da parte dei genitori di attimi di vita dei figli senza secondi fini, in realtà spesso nasconde logiche di marketing ed engagment con finalità ben precise.

I bambini nei video o nelle foto, infatti, sono soggetti più apprezzati di altri dagli utenti, e questa predilezione se ben sfruttata spesso si può tradurre in guadagni ingenti.

L’esposizione digitale dei minori avviene sui canali dei genitori, ma anche su profili personali, dove il protagonista è il minore stesso, benché la sua immagine sia ovviamente gestita da mamma e papà, che eludono così il limite minimo di 13 anni d’età richiesto per accedere alle piattaforme social.

In questo modo i bambini non sono più noti in quanto figli di creator o personaggi noti, esposti su canali di altri, ma possono diventare influencer a tutti gli effetti e ottenere ingenti vantaggi: denaro, sconti, regali ed esperienze.

Baby influencer

Il mercato dell’influencer marketing è mastodontico e, non a caso, un preadolescente su tre lo indica come obiettivo di carriera, mentre circa l’11% dei nati tra il 1997 e il 2012 si descrive già come influencer. L’economia dei content creator supera, secondo Goldman Sachs, i 250 miliardi di dollari in tutto il mondo e ogni anno innumerevoli brand decidono di investire una larga fetta del budget dedicato al marketing, proprio in questo settore in continua ascesa.

I bambini quindi vengono spinti precocemente a una presenza digitale massiva, allo scopo di migliorare le prestazioni dei contenuti dei propri genitori o al fine di perseguire un proprio scopo come identità digitale autonoma.

La ricerca della fama online e gli indubbi vantaggi economici che si possono ottenere, in particolare attraverso Instagram, ha amplificato il fenomeno dell’esposizione dei minori a tal punto da spingere i genitori a mercificare le immagini dei loro figli senza preoccuparsi di rischi e conseguenze e a esporli allo schermo dello smartphone fin da piccolissimi.

Dei rischi che corre un bambino sovraesposto se ne parla da tempo e chi decide di condividere la vita dei propri figli online tendenzialmente li ignora, decide di non volerli approfondire o semplicemente valuta che siano ininfluenti rispetto ai vantaggi che l’immagine del minore può portare.

Le inchieste Usa

Ad accendere i riflettori sul tema sono state soprattutto due inchieste, pubblicate recentemente sul Wall Street Journal e sul New York Times, che hanno dato risalto a un disturbante fenomeno dilagante sui social media: profili di influencer minorenni gestiti dai loro genitori, resi popolari soprattutto da seguaci con tendenza alla pedofilia.

Al fine di indagare questo ecosistema di baby influencer, il New York Times ha analizzato più di 2 milioni di post su Instagram, monitorato chat online di pedofili dichiarati ed esaminato rapporti di polizia e documenti giudiziari. I giornalisti che hanno realizzato l’inchiesta hanno, inoltre, intervistato più di 100 persone, tra cui genitori manager e rispettivi figli, esperti di sicurezza, dipendenti delle aziende tecnologiche più famose e follower condannati per reati sessuali.

Ciò che è emerso è che i profili dei mini creator sono diversi tra loro, ma hanno in comune alcune caratteristiche: appartengono per lo più a bambine al di sotto dei 13 anni e pubblicano contenuti ambigui, disturbanti e sessualizzanti. Materiale creato appositamente per strizzare l’occhio a un pubblico adulto, interessato sessualmente ai bambini.

Ecco quindi un susseguirsi di piccole ballerine svestite, mini cheerleader in abiti succinti, bambine in bikini o ritratte in pose accattivanti e maliziose. E sotto questi contenuti una sfilza di commenti espliciti di uomini adulti, tutti di carattere sessuale.

Molti genitori che gestiscono i profili dei baby influencer conoscono bene il loro “pubblico” di riferimento e creano contenuti ad hoc, senza limitare o bloccare gli utenti perché questo non farebbe altro che danneggiare la visibilità del profilo.

Se per alcuni account gestiti da genitori, infatti, i commenti inopportuni sono un problema da arginare, per molti altri sono semplicemente un fatto ineluttabile da ignorare. Un “costo” inevitabile per ottenere ottimi “benefici”, anche se viene pagato letteralmente sulla pelle dei bambini.

Secondo le stime del New York Times la percentuale di follower di sesso maschile varia notevolmente al variare della popolarità degli account. Mentre per profili piccoli e poco seguiti gli uomini rappresentano circa il 35% del pubblico complessivo, la loro presenza cresce man mano che gli account diventano più popolari. Quelli con più di 100.000 follower riscontrano un pubblico maschile superiore al 75%, alcuni di essi addirittura fino al 90%.

Gli uomini spettatori dei contenuti si scambiano informazioni in chat private e gruppi Telegram, al fine di creare una rete in cui condividere ogni aspetto del loro interesse verso i bambini, facendo crescere maggiormente gli account più generosi in termini di contenuti sessualizzanti.

Lodano spesso l’avvento di Instagram ma, soprattutto, lo sfruttamento dei minori da parte dei genitori, meritevoli di aver costruito, per il loro desiderio di notorietà, una scorta infinita di contenuti, una vetrina digitale a portata di click per un’utenza predatoria e senza scrupoli.

Il quotidiano Usa ha anche monitorato diverse chat Telegram, scovando gruppi in cui i profili Instagram dei baby influencer venivano classificati come in un menu, adatto a soddisfare le loro fantasie. Il tutto corredato da informazioni rilevanti, come a esempio se i genitori fossero o meno propensi a vendere abbonamenti e contenuti più espliciti in via privata.

Secondo gli esperti di sicurezza queste forme di abbonamenti e altre funzioni che mettono in contatto diretto minori e utenti potrebbero portare a interazioni malsane, con uomini convinti di avere un legame speciale con dei bambini, pronti a soddisfare le loro esigenze. Una procedura che spinge i piccoli a sentirsi obbligati a obbedire alle richieste di adulti estranei, che li approcciano per soddisfare fantasie sessuali, e che quindi compiono a tutti gli effetti un abuso.

Uno dei gruppi Telegram analizzato dal New York Times era talmente organizzato da aver tracciato circa 700 bambini, identificandoli con appositi hashtag e rispondendo alle domande degli utenti con una pagina FAQ apposita in cui elargire ogni informazione.

Il coinvolgimento delle piattaforme social

La questione dei baby influencer e la concreta possibilità di arginare il fenomeno è complicata dal fatto che la maggior parte dei genitori non pubblica né condivide contenuti sessualmente espliciti, nei quali a esempio siano visibili i genitali dei bambini, ma perlopiù immagini e video sessualizzanti, che rimangono in un confine di liceità che li tiene a riparo da eventuali conseguenze legali.

Eppure diversi utenti pagano dei veri e propri abbonamenti esclusivi per ricevere materiali personalizzati (ad esempio bambini e bambine vestiti con un certo tipo di abbigliamento) o risposte in chat a sfondo sessuale.

Queste loro richieste specifiche vengono soddisfatte utilizzando un servizio di abbonamenti a pagamento introdotto nel 2022 da Meta, società proprietaria di Facebook e Instagram, che consentono ai follower di pagare una quota mensile per ottenere contenuti e accessi esclusivi.

In teoria non è autorizzato l’acceso ai minori di 18 anni, ma con gli account gestiti dai genitori si possono eludere le restrizioni. Al prezzo più alto i genitori offrono sessioni di chat chiamate “chiedimi qualsiasi cosa” e “foto dietro le quinte”, in una contrattazione privata con il predatore che ha tutti gli elementi dello sfruttamento sessuale dei minori.

Il Wall street Journal ha specificato come, sebbene spesso gli account non proponessero contenuti esplicitamente illegali, nel 2023 Meta avesse scoperto e segnalato in alcuni documenti interni questo utilizzo improprio degli abbonamenti a pagamento. Era quindi chiaro come diversi genitori stessero cercando di trarre profitto dalla mercificazione dei propri figli, con la creazione e condivisione di materiale considerato dagli utenti “sessualmente appagante”.

L’inchiesta cita, inoltre, un’indagine interna condotta da Meta già nel 2020, in cui l’azienda aveva scoperto che più di 500.000 profili Instagram di bambini realizzavano interazioni inappropriate ogni giorno.

È sempre stata cosa nota, inoltre, che gli stessi algoritmi abbiano promosso presso utenti con tendenze pedofile account e abbonamenti che mostrassero bambini influencer, in un meccanismo perverso in cui i profili dei bambini diventano più popolari quando apprezzati da utenti predatori, e questi ultimi vengono costantemente spinti a seguire profili con contenuti che sessualizzano minori.

I responsabili della sicurezza consigliavano a Meta di vietare l’utilizzo di abbonamenti a pagamento per account di bambini, come avviene su piattaforme come OnlyFans, oppure chiedere dei controlli aggiuntivi solo per account inerenti minori, in modo tale da poterli monitorare meglio. Meta ha però respinto i suggerimenti, ritenendo i genitori gli unici responsabili di account e contenuti.

Andy Stone, portavoce della società, ha sottolineato al New York Times come i genitori possano sempre controllare i commenti e i follower, agendo con diversi strumenti restrittivi.

Peccato che se i gestori dell’account decidono di bloccare un numero troppo grande di follower o mettere restrizioni sulle parole da usare nei commenti, i profili calano di visibilità e interazioni o vengono bloccati in alcune funzioni, incentivando i genitori a non tutelare i figli di fronte ad attività predatorie degli utenti, perché volente o nolente funzionali alla sopravvivenza del profilo stesso.

Leggi anche
Social Network
di Costanza Giannelli 6 min lettura
Sharenting
di Costanza Giannelli 5 min lettura