Futuro

Disinformazione e criminalità: Telegram diventerà il nuovo “dark web”?

L’app di messaggistica ospita sempre più gruppi dove vendere armi, droga, inviare foto e video pedopornografici ma anche fake news e contenuti propagandistici. Trasformandosi, in alcuni casi, in una vera e propria arma di guerra
Credit: Matt Flores 
Tempo di lettura 6 min lettura
20 marzo 2024 Aggiornato alle 12:00

È il principale concorrente di Meta tra le app di messaggistica istantanea; detiene un patrimonio netto di 11 miliardi di dollari, affermandosi in tutto il mondo come un mix tra un social network e, appunto, un’applicazione per scambiarsi messaggi: parliamo di Telegram, creato in Russia nel 2013 da Pavel Durov, imprenditore conosciuto anche come “il Mark Zuckerberg russo”.

Quello che doveva essere un preziosissimo rifugio per contrastare le minacce alla privacy da parte delle più grandi big tech, quindi un luogo sicuro e lontano dalle interferenze di Governi o malintenzionati in cui poter scambiare messaggi, audio e file multimediali, sta rischiando di trasformarsi in un covo di disinformazione, pedofilia e contenuti dannosi: il nuovo dark web.

Tra chat blindate  (la sua caratteristica principale), decine di funzionalità multimediali, interfaccia completamente personalizzabile e gruppi numerosissimi (fino a 200.000 membri) in cui è possibile condividere praticamente qualsiasi contenuto, Telegram sta attirando criminali di ogni tipo.

All’interno dell’applicazione è presente una fitta rete di contenuti illegali: dalla rivendita di armi pesanti e leggere (fatta attraverso armerie virtuali, con tanto di foto e testimonianze degli utenti) al mercato della droga; per non parlare di migliaia di gruppi pedopornografici.

E poi c’è la disinformazione, uno degli elementi più dannosi per la democrazia. Spesso, all’interno della piattaforma, vengono diffusi contenuti fuorvianti o completamente falsi che manipolano la realtà e le convinzioni degli utenti online, creando una solida base di propaganda che soddisfa gli interessi dei leader autoritari mondiali.

Con l’aggravarsi del conflitto russo-ucraino, sulla piattaforma sono aumentate le fake news e i gruppi che diffondono informazioni non verificate proliferano a dismisura. Spesso questi gruppi vengono gestiti da persone anonime vicine al Governo russo o a Governi autoritari e si inseriscono nel quadro della guerra dell’informazione che, soprattutto la Russia, sta conducendo in Europa.

Il Financial Times chiama questo scenario “un campo di battaglia per la guerra dell’informazione”, facendo notare come l’app abbia un ruolo chiave nella diffusione di notizie e informazioni politicamente e socialmente rilevanti. Il quotidiano fa anche notare come ancora oggi sia permesso a gruppi estremisti, come Hamas o Hezbollah, di operare al suo interno diffondendo informazioni propagandistiche e contenuti violenti. Il 7 ottobre, per esempio, i militanti di Hamas hanno diffuso attraverso Telegram decine di video e foto dell’efferato attacco condotto contro Israele.

Questo dimostra come la piattaforma, reputata inizialmente come un grande bunker in grado di proteggere al massimo la riservatezza dei suoi ospiti, venga spesso utilizzato come arma. Un’arma di una guerra psicologica che ha come obiettivo quello di esercitare forti pressioni emozionali sugli utenti, soprattutto i più sensibili. E che mette alla prova fact-checker, giornalisti ed esperti di mass media che combattono ogni giorno per un’informazione più libera e incontaminata dalla propaganda.

Un interrogativo che tormenta da molti anni analisti, politici e utenti riguarda la vicinanza (o lontananza) degli sviluppatori verso il Cremlino. Il 39enne Pavel Durov, che oltre ad aver sviluppato Telegram con il fratello Nikolaj è anche fondatore di VK, gigante dei social network in Russia,  nega le possibili influenze del Paese verso l’app. Ma quando viene chiesto di rispondere delle azioni del presidente Vladimir Putin, o di esprimersi sul conflitto russo-ucraino, Durov riesce sempre a sviare la domanda, evocando la neutralità della piattaforma. Che sia per paura di ritorsioni?

Secondo Durov, riporta il Financial Times, le voci sui presunti legami con il Governo russo sono solamente “teorie del complotto”. L’imprenditore sottolinea che l’azienda non ha fonti di finanziamento legate alla Russia e che la maggior parte dei suoi obbligazionisti hanno sede in occidente, tra il Regno Unito e gli Usa.

Per quanto riguarda le politiche di moderazione sulla piattaforma, la disinformazione viene contrassegnata da un’etichetta di avviso anziché rimossa. Questo perché, secondo Durov, l’eliminazione delle fake news e soprattutto delle teorie del complotto o cospirazioniste comporta un loro rafforzamento. «La moderazione non è mai facile  - spiega Durov al Ft incalzato sulla moderazione dei contenuti propagandistici  - e a volte non siamo pronti per certi eventi che si svolgono in tempo reale e che accadono molto velocemente».

La piattaforma, che oggi conta oggi 900 milioni di utenti attivi (si potrebbe arrivare al miliardo entro un anno o poco più), sta tentando da alcuni anni di monetizzare i suoi contenuti attraverso l’introduzione di annunci pubblicitari. Ma il dubbio sorge spontaneo: quanti saranno gli inserzionisti pronti a dedicare grosse somme di denaro verso un social così rischioso e controverso?

Intanto Pavel Durov ha rivelato al quotidiano che la società ha ricevuto svariate offerte da molti investitori e alcune arrivano fino a 30 miliardi di dollari. Oggi, l’imprenditore, dopo essersi rifiutato di fornire i dati di alcuni utenti all’agenzia di sicurezza russa, è fuggito a Dubai, dove vive e in cui è stata stabilita la sede di Telegram. Una realtà che, tra le altre cose, gli ha permesso di sfuggire ai rigorosi controlli di sicurezza europei e statunitensi relativi alle app di messaggistica istantanea e al contrasto alla disinformazione.

I suoi piani futuri sono quelli di introdurre Telegram sul mercato: in questo modo la società potrà espandersi enormemente evitando di essere venduta ad altri imprenditori. L’imminente debutto nel mercato dell’app deve però sfidare le pressioni occidentali sui suoi rischi: non solo è necessaria una moderazione più forte, ma bisognerà rivedere anche i meccanismi di gestione dei gruppi di criminali.

Secondo Durov il team di moderatori di Telegram, che insieme ai dipendenti dell’app è formato da una cinquantina di persone, controlla intensamente le attività criminali sull’app e rimuove milioni di contenuti dannosi ogni giorno utilizzando anche software di moderazione intelligenti e personalizzati. Ma c’è ancora tanta strada da fare.

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