Ambiente

Perché la disinformazione sul clima trova spazio su Youtube?

La famosa piattaforma video di Google è accusata di fare profitto con i negazionisti della crisi climatica. Lo sostiene un report pubblicato dal Center for Countering Digital Hate
Credit: Giorgio Encinas  

Tempo di lettura 4 min lettura
19 gennaio 2024 Aggiornato alle 11:00

Le modalità di negazione della crisi climatica-ambientale si sono evolute sulla piattaforma online Youtube, della multinazionale americana Alphabet, dove influencer legati allo scetticismo climatico e diversi canali online si sono riorganizzati per sminuire le soluzioni per contrastare la crisi e per diffondere notizie false.

Questo è il quadro che emerge dal nuovo report intitolato The new climate denial. How social media platforms and content producers profit by spreading new forms of climate denial pubblicato dal Center for Countering Digital Hate (Ccdh), che accusa la piattaforma di fare profitti milionari con le informazioni false seminate da certi canali online.

Il Ccdh ha usato l’intelligenza artificiale per analizzare ed elaborare i dati di Youtube, sfruttando un modello di deep learning per rivedere le trascrizioni di 12.058 video degli ultimi 6 anni, appartenenti a 96 specifici canali che secondo il team di ricerca hanno promosso contenuti che minano il consenso scientifico o che negano la portata della crisi in atto.

Fra i video osservati, si trovano quelli del canale conservatore Blaze TV e quelli dell’Heartland Institute, un think tank liberista.

I filmati analizzati sono stati pubblicati dal gennaio del 2018 al settembre del 2023, e oltre all’intelligenza artificiale sono intervenuti dei controllori umani indipendenti che hanno verificato alcune delle trascrizioni del testo e hanno testato l’accuratezza del modello utilizzato.

Nell’arco di questi 6 anni i messaggi fuorvianti, principalmente focalizzati sul sostenere che le soluzioni climatiche non funzioneranno o che la climatologia e l’attivismo ambientale non sono affidabili, sono cresciuti rispettivamente del 21,4% e del 12%. L’idea che la crisi climatica sia una bufala è scesa del 34,3%.

Secondo l’amministratore delegato del Cchd, Imran Ahmed, «si è aperto un nuovo fronte in questa battaglia. Le persone che abbiamo osservato sono passate dal dire che il cambiamento climatico non sta accadendo a dire ora: “Ehi, il cambiamento climatico sta accadendo ma non c’è speranza. Non ci sono soluzioni”». Il cambio di strategia da parte di questi soggetti gli ha permesso di sfuggire alle policy di Youtube, che tendenzialmente non premiano la diffusione delle tesi contrarie al cambiamento climatico.

La piattaforma di Google ha guadagnato fino a 13,4 milioni di dollari all’anno di pubblicità grazie a questi 96 canali, attirandosi la critica di fare profitti sulla disinformazione.

Di fronte a queste accuse il portavoce di Youtube, Nate Funkhouser, ha dichiarato che la maggior parte dei video rispettava la policy della compagnia: «La nostra politica sul cambiamento climatico vieta la pubblicazione di annunci su contenuti che contraddicono il consolidato consenso scientifico sull’esistenza e sulle cause del cambiamento climatico. Sono consentiti dibattiti o discussioni su temi legati al cambiamento climatico, anche in materia di ricerca o politiche pubbliche. Tuttavia, quando i contenuti superano il limite della negazione del cambiamento climatico, smettiamo di mostrare annunci su quei video. Mostriamo anche pannelli informativi sotto i video pertinenti per fornire ulteriori informazioni sui cambiamenti climatici e sul contesto da parte di terzi».

Il team di ricerca del Ccdh ha chiesto a YouTube di aggiornare la sua politica sui contenuti, sostenendo che il suo report potrebbe aiutare a combattere le false affermazioni sulla crisi climatica. Ovviamente distinguendo fra le evidenti manipolazioni promosse da certi gruppi e le ragionevoli argomentazioni critiche, prive di intenti malevoli, funzionali al dibattito pubblico e scientifico.

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