Culture

Social: perché il British Museum è stato accusato di sessismo?

Il museo londinese ha condiviso un video in cui invita le donne single a mostrarsi confuse mentre visitano la nuova mostra dedicata all’impero romano per conquistare un uomo
Credit: EPA/ANDY RAIN 
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21 marzo 2024 Aggiornato alle 20:00

L’ultima delle polemiche contro il British Museum è nata da un post accusato di sessismo pubblicato su TikTok e ricondiviso sui canali social ufficiali del museo.

Per promuovere la nuova mostra dedicata alla storia dell’esercito romano, i responsabili delle pagine social del museo hanno condiviso un video in cui si vedono alcune immagini dell’esposizione con un testo in evidenza che di culturale ha ben poco: “Ragazze (“girlies”), se siete single e in cerca di un uomo, questo è il segnale che dovete andare alla nuova mostra del British Museum, Legion: life in the Roman Army e girare intorno con aria confusa”.

Hai letto bene: se sei una ragazza single e vuoi incontrare un uomo, devi andare a vedere una mostra ma non per istruirti, bensì per sembrare stupida e farti spiegare ciò che sei perfettamente in grado di capire da sola, ma che farai finta di non comprendere. Così, forse, non sarai più single. La caption del post ribadiva il concetto con un discutibile gioco di parole: “Vieni per i Romani, resta per un po’ di romanticismo”.

Per chiarire l’atmosfera che circonda il contenuto basta sfogliare il dizionario inglese Collins che alla voce “girlies” spiega: “Alcune persone si riferiscono alle donne con questo termine, specialmente quando credono che non siano intelligenti o capaci quanto gli uomini. Molte persone considerano questo uso offensivo”.

Un portavoce del British Museum ha giustificato l’accaduto dicendo che il museo ha soltanto ricondiviso il video di un’influencer diventato virale (accuratamente rimosso dopo le critiche). E comunque l’intento non era offendere le donne, ma ironizzare sul già famoso trend #RomanEmpire che ha mostrato quanto gli uomini pensino continuamente all’Impero romano.

Se non hai colto l’ironia, è perché quasi nessuno ha trovato divertente lo scherzo. Per Alexandra Wilson, professoressa di musica e storia culturale della Oxford Brookes University: «Questa “ironia” era destinata a fallire», anche perché presumere che il pubblico sui social potesse cogliere il riferimento sottinteso era un «approccio di marketing davvero sbagliato».

Ma anche cogliendo il riferimento, il post mostrava comunque «immagini fasciste persistenti con l’aggiunta di sessismo», come ha scritto su X la ricercatrice del King’s College London Claire Millington, riferendosi al fatto che molti degli oggetti mostrati nel video sono diventati anche simboli dei regimi fascisti. Per la rivista Dazed il post è stato un disastro, ma in un contesto leggermente diverso avrebbe potuto essere una campagna di marketing virale: “Purtroppo Internet non è ancora pronto per la ‘Ragazza Attraente Che Ama la Storia Militare’”.

Questo è solo l’ultimo dei problemi reputazionali di uno dei più importanti musei di storia e cultura umana del mondo. L’annosa questione della restituzione dei marmi del Partenone, sottratti tra il 1801 e il 1805 da Thomas Bruce (conte di Elgin e ambasciatore britannico presso l’Impero Ottomano che allora controllava la Grecia) e trasferiti nel 1816 al British Museum, è tornata a essere “calda” dopo che alla Fashion Week londinese di febbraio è andata in scena una sfilata del designer Erdem Moralioglu proprio nella sala che espone i fregi del tempio dell’Acropoli di Atene.

Lo spazio è stato scelto probabilmente perché la collezione Erdem era ispirata dalla cantante lirica di origine greca Maria Callas. Non certo un omaggio per la ministra della Cultura greca, Lina Mendoni, che ha dichiarato: «Il British Museum dimostra ancora una volta di non avere rispetto per i capolavori di Fidia. I responsabili del museo svalutano e insultano non solo il monumento, ma anche i valori universali che rappresenta. Le condizioni di esposizione delle sculture nella Galleria Duveen peggiorano di giorno in giorno. È tempo che questi capolavori di scultura rubati e maltrattati risplendano di nuovo sotto la luce dell’Attica».

Un’altra recente polemica nata dai social riguarda, invece, due statue dell’Isola di Pasqua (Rapa Nui): le famose teste “moai” in basalto conservate al British Museum. Il profilo Instagram del museo è stato inondato di richieste di restituzione da diversi utenti cileni mobilitati dall’influencer Mike Milfort (che su Instagram ha 1 milione di follower) per far tornare le opere nel territorio cileno. La sezione commenti sotto diversi post è stata persino disattivata. Dopo la richiesta formale di restituzione nel 2018, l’anno scorso il Consiglio degli anziani di Rapa Nui ha scritto a Re Carlo III per sollecitare il ritorno dei moai. Non hanno neppure ricevuto una risposta.

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