Culture

Margherita delle stelle? No, Margherita Hack

Il film andato in onda ieri su Rai Uno racconta l’adolescenza dell’astrofisica, i suoi primi successi lavorativi e le scelte personali, e sprona le ragazze a volere di più
Credit: RAI
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
6 marzo 2024 Aggiornato alle 18:00

La partenza non era delle migliori. Margherita delle stelle è un titolo per nulla azzeccato per raccontare la vita incredibile di Margherita Hack, che un cognome ce l’ha e con esso un’identità e una carriera senza eguali. Eppure a chi ha dovuto scegliere come intitolare un film sulla sua storia è sembrata una buona idea optare solo per il nome di battesimo, relegando Hack a una bambina innamorata delle stelle.

Certo, la celebre astrofisica è stata anche quello, e sicuramente proprio per aver passato fin da piccola molte sere con il naso all’insù è diventata la scienziata che tutti al mondo conoscono e tutti, a dieci anni dalla morte, rimpiangono. È stata però molto più di un nome uguale a molti altri, e i 100 minuti circa del biopic andato in onda su Rai Uno, lo hanno dimostrato.

Coprodotto da Rai Fiction - Minerva Pictures per la regia di Giulio Base, è liberamente ispirata al libro Nove vite come i gatti di Margherita Hack e Federico Taddia.

A prestare il volto, e il corpo, la mente e l’energia, a Margherita Hack è Cristiana Capotondi, convincentissima nelle vesti di una donna che in buona parte della sua vita ha sfidato il sistema, facendo spesso saltare il tavolo e ridefinendo le regole di un mondo, quello delle scienze, in cui le porte si aprivano quasi solo per gli uomini, e nel quale ancora oggi le professioniste faticano a emergere.

Il film si apre raccontando l’infanzia dell’astrofisica, quando quella per le stelle era solo una passione di bambina e la ribellione un tratto caratteriale, un po’ innato e un po’ trasmesso da genitori che forse anche oggi definiremmo progressisti e che allora, l’Italia a cavallo del ventennio, sembravano provenire da un altro pianeta. Quello del futuro, dove le bambine possono non vestirsi per forza con la gonna, non essere sempre pettinate e posate e non sognare un avvenire da perfette donne di casa. Ma indossare i pantaloni, inforcare la bicicletta per spostarsi, avere i capelli arruffati e immaginare per sé una vita senza limiti, nella quale ogni ambizione possa essere colta. Alla pari dei bambini.

Grazie anche all’esempio di libertà datole dai suoi genitori e allo sport praticato ad alti livelli da giovanissima - fu medaglia d’oro ai Littoriali (campionati universitari) di Como nel salto in alto - che le ha insegnato l’ambizione e la disciplina necessaria per emergere, Margherita Hack ha abbattuto molti muri e fatto valere la propria opinione quando non piegare la testa poteva dire rischiare la propria. Lo racconta bene uno spezzone di film, nel quale una giovane Hack viene severamente punita a scuola per aver criticato il Duce.

La pellicola si sofferma volutamente sulle fasi della vita meno note dell’astrofisica, l’infanzia e l’adolescenza, così da far conoscere al pubblico la persona dietro il personaggio, e ispirare le bambini a inseguire i propri sogni, anche quando questi portano lontano dall’obiettivo che tutti si aspettano, come nel mondo delle Stem, dove ancora oggi le ragazze sono meno dei ragazzi, e le professioniste poco e considerate meno autorevoli dei colleghi. La Firenze martoriata dalla guerra fa da sfondo a buona parte del racconto, così come ha scandito gli anni giovanili di Hack, che nemmeno quando il rischio di essere raggiunta da una bomba era concreto ha smesso di passare le notti a studiare e osservare il cielo.

Si è sposata a un certo punto ma lo ha fatto a modo suo, rifuggendo anche in questo caso alle regole imposte dalla società, e formando con il marito un’unione durata tutta la vita ma per l’epoca indubbiamente poco convenzionale. «Non ho mai avuto un marito che pretendesse che tornassi a casa per cena», dice a un certo punto Cristiana Capotondi - Margherita Hack. Un uomo con il quale ha condiviso la scelta di non avere figli, che come racconta la seconda parte del film, in più di un frangente le è stata fatta pesare.

Margherita delle stelle si chiude sul più bello, quando la carriera di Hack, a quel punto direttrice dell’Osservatorio astronomico di Trieste, accelera. Ma in fondo è giusto così perché quello che è venuto dopo lo conosciamo un po’ tutti, mentre ciò che c’è stato prima indubbiamente un po’ meno.

Il merito della pellicola è proprio quello: svelarci i piccoli tasselli mancanti di una esistenza incredibile, e ricordare a tutte le ragazze di lottate per quello in cui credono e non dimenticare che siamo tutti figli delle stelle.

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