Futuro

Polvere di stelle, da galassie antichissime

L’Università di Padova e l’Istituto Nazionale di Astrofisica hanno identificato, grazie al James Webb Space Telescope, spazi cosmici primordiali, inaspettatamente ricchi di polvere
Credit: NASA/ Unsplash
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
15 novembre 2022 Aggiornato alle 18:00

Sono così distanti da noi che la loro luce ha viaggiato 13 miliardi di anni per raggiungere la Terra. Sono sistemi molto giovani, di colore blu e con formazione stellare in atto. Di cosa stiamo parlando? Delle decine di galassie primordiali identificate da Jwst – il James Webb Space Telescope – il più sofisticato telescopio spaziale mai realizzato e lanciato nello spazio il 25 dicembre 2021.

Grazie alle sue prestazioni eccezionali, Jwst sta permettendo di spingere l’osservazione dello spazio oltre ogni limite precedente e di svelare la presenza di fenomeni finora sconosciuti o invisibili anche a strumenti estremamente avanzati come Hubble, il “fratello maggiore” di Jwst. È il caso delle sorgenti extragalattiche osservate da numerosi studi dopo il rilascio del primo set di dati nel luglio 2022.

Le informazioni spettroscopiche saranno necessarie per confermare che si tratta davvero di sorgenti che si trovano all’alba del tempo cosmico, cioè il periodo in cui si sono formate le prime stelle – la reale natura di questi oggetti, infatti, è ancora molto dibattuta nella comunità scientifica – ma un team di astrofisici e astrofisiche dell’Università di Padova e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) ha recentemente scoperto un campione ancora più peculiare di tali sorgenti, che sembrano essere più rosse e oscurate di quanto previsto dai modelli cosmologici di formazione ed evoluzione delle galassie.

I risultati sono stati presentati nell’articolo “Jwst unveils heavily obscured (active and passive) sources up to z~13”, pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

«Guardando le prime immagini profonde di Jwst nel campo SMACS0723 (la porzione di cielo oggetto della prima immagine a colori) – ha spiegato Giulia Rodighiero, docente dell’Università di Padova, associata all’Inaf e prima autrice dello studio –, abbiamo individuato una popolazione mista di sorgenti che si trovano a diverse epoche cosmiche, molte delle quali presentano una quantità inaspettata di polvere interstellare che le oscura e potrebbe spiegare i loro colori particolarmente rossi. Il processo di accumulo di polvere da parte delle stelle richiede tempo e siamo rimasti molto sorpresi di trovarne grandi quantità in galassie così giovani, con poche centinaia di milioni di anni di età».

I risultati dell’indagine fotometrica sono basati sulle più recenti calibrazioni dello strumento Nircam, ma sarà necessario confermarli con dati spettroscopici da telescopi come l’Atacama Large Millimeter Array (Alma) e il Jwst stesso, per confermare «l’identificazione e la distanza di questi giganti polverosi», ha spiegato Laura Bisigello, assegnista di ricerca dell’Università di Padova, associata Inaf e coautrice del paper.

«Jwst ha dimostrato per la prima volta che le galassie primordiali potrebbero già contenere quantità sorprendenti di polvere. L’origine di questa polvere costituisce una sfida teorica per i modelli teorici e allo stesso tempo rappresenta una questione chiave per comprendere le proprietà fisiche di questi sistemi primordiali», hanno aggiunto Laura Sommovigo e Andrea Ferrara della Scuola Normale di Pisa.

«Questo è un momento molto emozionante per gli studi extragalattici e lo spazio di scoperta di Webb è appena iniziato» conclude Andrea Grazian dell’Inaf di Padova, coautore dell’articolo.

La sorgente candidata a essere la più lontana e polverosa prenderà il nome di “galassia Pennar”: il team padovano, infatti, ha deciso di battezzare le nuove galassie con gli antichi nomi cimbri delle contrade del comune di Asiago.

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