Diritti

Ue: salta la legge per imporre alle aziende controlli su diritti umani e ambientali

L’obiettivo della Corporate Sustainability Due Diligence Directive era rendere le grandi imprese responsabili per le presunte violazioni contro ecosistemi e persone nella catena di fornitura
Credit: Remy Gieling
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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29 febbraio 2024 Aggiornato alle 14:40

L’Unione europea non è riuscita ad approvare una legge che avrebbe imposto alle aziende controlli sui diritti umani e ambientali nella propria catena di fornitura. Mercoledì 28 febbraio, durante l’incontro degli ambasciatori a Bruxelles, non è stato possibile raggiungere la maggioranza per approvare la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd, o Cs3d) sulle questioni di sostenibilità per le imprese che operano nell’Ue a causa delle obiezioni dell’ultimo minuto di Italia e Germania, che secondo il Financial Times riflettevano le preoccupazioni che la legge avrebbe potuto danneggiare la loro base industriale.

Se la legge sulla “due diligence aziendale” avesse ottenuto l’approvazione finale da parte del Consiglio Europeo, avrebbe obbligato le aziende con sede nell’Unione, così come le società extra-Ue che conducono un determinato livello di attività in Europa, a prendersi carico della responsabilità per eventuali violazioni dei diritti umani o dei danni ambientali riscontrati nelle proprie catene di approvvigionamento, e avrebbe permesso agli attivisti di portare in tribunale le imprese.

Per quanto le norme non nominassero direttamente la Cina, riguardavano in larga parte le aziende nella regione dello Xinjiang dove il Governo di Pechino è accusato di ricorrere al lavoro forzato e di aver ordinato la detenzione di massa degli uiguri, una minoranza di fede musulmana e di etnia turcofona che risiede in quel territorio, nel nord-ovest del Paese.

Secondo quanto previsto, spiega South China Morning Post, la legge avrebbe richiesto alle aziende dell’Ue con più di 500 dipendenti e un fatturato netto di 150 milioni di euro in tutto il mondo di condurre controlli dettagliati sui propri fornitori e partner, compresi quelli in Cina. Di recente il produttore chimico tedesco Basf è stato oggetto di forti critiche da parte di gruppi di attivisti per i diritti umani per i loro stabilimenti nella regione dello Xinjiang, dove Pechino nega di aver represso la minoranza uigura.

A metà dicembre gli Stati membri avevano raggiunto un accordo con i negoziatori del Parlamento europeo e la bozza finale del Csddd era stata pubblicata il 20 gennaio. Dopo settimane di ritardi, il Consiglio europeo ha fissato il voto sulla direttiva il 28 febbraio, ma a pochi mesi dalle elezioni europee è arrivato il dietrofront. A quanto risulta da fonti diplomatiche, pur senza un voto formale tra gli Stati membri sarebbero state Germania e Italia a far sfumare l’accordo, astenendosi. Mercoledì il ministro della giustizia liberale tedesco Marco Buschmann ha scritto sulla piattaforma X che “c’erano troppe ragioni oggettive contro l’attuale proposta: troppa burocrazia, troppi nuovi rischi di responsabilità, requisiti di due diligence ingestibili – e troppo pochi benefici chiaramente visibili”. Le aziende italiane hanno avvertito che la legge avrebbe rischiato di danneggiare le piccole e medie imprese.

Ma, riporta Ansa, anche la Francia avrebbe cambiato le carte in tavola, chiedendo alla presidenza belga di turno alla guida dell’Ue di rinegoziare in modo importante le soglie di applicazione della riforma: ben oltre le imprese con 500 dipendenti e 150 milioni di fatturato previste nell’accordo inter-istituzionale siglato a dicembre. La Finlandia, poi, avrebbe chiesto un emendamento, e l’Austria avrebbe dichiarato di non potersi esprimere mercoledì. Così, il supporto sarebbe mancato da 15 Stati e, vista la mancanza di una maggioranza qualificata (14 Paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione) la presidenza del Consiglio ha quindi ritirato il punto. Come sottolinea Euractiv, l’astensione di due grandi Paesi, insieme ad almeno due o tre stati membri più piccoli, di solito significa nessuna maggioranza.

Ora, ha spiegato la presidenza belga, verrà rivalutata la situazione per vedere se sia “possibile affrontare le preoccupazioni avanzate dagli Stati membri, in consultazione con il Parlamento europeo”. Raggiungere un accordo in tempo per l’approvazione all’ultima plenaria ad aprile, prima delle elezioni, è meno probabile, ma non escluso. La relatrice per il Parlamento europeo sulla direttiva, l’eurodeputata olandese di S&D Lara Wolters, si è detta «indignata» da quanto successo, denunciando la «significativa pressione» delle imprese sugli Stati e definendo «molto preoccupante» la posizione emersa dal Consiglio Ue, che «non rispetta il Parlamento europeo nel suo complesso come legislatore» e «mina la fiducia necessaria per raggiungere accordi».

In un comunicato diffuso dal Wwf, l’organizzazione internazionale che si occupa di conservazione della natura, si legge che “dopo uno sforzo legislativo durato quattro anni per stabilire una legge forte che limiti gli abusi da parte delle imprese sui diritti umani e sull’ambiente, gli Stati membri nel Consiglio hanno ritardato l’approvazione dell’accordo da loro stessi concordato nei negoziati con il Parlamento europeo e la Commissione. La decisione fa seguito al miope piano della Germania di astenersi dal voto e all’attacco all’ultimo minuto della Francia di indebolire notevolmente la legge proponendo di escludere la maggior parte delle imprese dal suo ambito di applicazione”.

Uku Lilleväli, Sustainable Finance Policy Officer presso l’Ufficio Politiche Europee del Wwf, ha dichiarato che «il sabotaggio e il rinvio dell’ultimo minuto di questo nuovo regolamento da parte dei governi dell’Ue non solo ignorano le vite, le comunità e gli ecosistemi colpiti da pratiche commerciali distruttive, ma infliggono anche un duro colpo alla credibilità dell’Ue come legislatore». La legge, sottolinea l’organizzazione, “è essenziale per rafforzare il mercato unico dell’Ue, garantendo che le aziende gestiscano gli impatti e i rischi della sostenibilità in modo più efficace e, soprattutto, fornendo una maggiore protezione a coloro che sono colpiti da attività economiche dannose”.

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