Culture

“Lean on me”: come dovrebbe cambiare il concetto di cura

Nel suo nuovo libro l’accademica e attivista Lynn Segal propone un approccio completamente diverso al tema rispetto a quello attuale, più comunitario e meno individualista
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14 aprile 2024 Aggiornato alle 11:00

Una delle mie serie tv preferite è Grace e Frankie. Potrebbe sembrare strano, dal momento che con le protagoniste non ho molto in comune, ma credo che il motivo per cui mi piace così tanto è che ha un modo bellissimo e delicato di raccontare la vulnerabilità e di come sia spesso difficile accettarla.

Viviamo in un mondo dominato dalle logiche di mercato e, per la maggior parte del tempo, siamo immerse e immersi in una giungla dove vige la legge del più forte e dove mostrare vulnerabilità e chiedere aiuto non sono un’opzione. Poter essere vulnerabili è una delle tante libertà che ci sono state strappate dal capitalismo.

Parte da qui la riflessione che Lynn Segal, accademica, attivista, femminista e socialista porta avanti nel suo Lean on me: a politics of radical care (VersoBooks, 256 p.), dalla presa di coscienza che nella nostra società non è possibile mostrarsi deboli o bisognosi perché il concetto di “cura” è stato completamente snaturato dalle logiche di mercato.

Lo abbiamo visto in decenni di politiche liberiste, che hanno smantellato pezzo per pezzo il welfare state, nella retorica del self made man (e anche della self made woman) e nell’illusione di una soddisfazione che può basarsi solo sulla carriera e sugli obiettivi raggiunti, senza tenere conto di ciò che viene sacrificato sul piano personale e relazionale.

L’imperativo di produrre sempre e costantemente, liberandoci da tutte le incombenze che ci sbarrano la strada del successo, evitandole e quando questo non è possibile delegandole a qualcun altro.

Così l’attività di cura diventa “lavoro” di cura, qualcosa di monetizzato e monetizzabile, regolato dalle logiche del mercato, che però, come scrive Segal “sono sempre distinte dalle logiche di cura”.

E qui vale la pena di intendersi subito: rompere le logiche di mercato non significa sostenere che i lavori di cura non debbano essere pagati ma riconoscere che l’ossessione capitalistica per la produttività e la produzione costante ha screditato le attività di cura, trasformandole in lavori pagati male e spesso demandati ai gruppi più marginalizzati, creando e acuendo le disuguaglianze sociali. Significa reclamare a gran voce la dignità di quelle attività, la loro importanza per il benessere delle persone e della società come un tutto, e pretendere che, in quanto tali, siano un diritto garantito dalle istituzioni pubbliche, e non qualcosa di cui può disporre solo chi se lo può permettere.

Secondo Segal riappropriarci delle attività di cura all’interno delle nostre società è fondamentale per recuperare l’importanza delle relazioni e opporre resistenza all’approccio individualista promosso dal liberismo.

Questo va fatto a tutti i livelli, iniziando da quello familiare. Per l’autrice è necessario liberare le donne dall’incombenza della cura dei figli e per farlo propone il rifiuto radicale della famiglia tradizionale. La maternità va liberata dalle logiche patriarcali, va aperta non limitandola solo a chi partorisce ma estendendola oltre le relazioni parentali o il genere. E non si tratta di delegare il ruolo matero per far sì che le madri possano cadere più liberamente nella trappola della produttività capitalista, ma comprendere che occuparsi dei bambini non può e non deve essere un affare privato, e che richiede il supporto e la responsabilità della collettività come un tutto.

Il concetto di cura viene inteso dunque non più come “occuparsi di”, ma come “essere responsabili verso” e va riportato e allargato a tutti gli ambiti della vita umana e sociale che sono stati piegati alla logica del capitalismo.

L’educazione, innanzitutto, su cui Segal insiste moltissimo, criticando duramente Istituzioni scolastiche e universitarie che invece di rappresentare luoghi di scambio culturale e costruzione del senso critico sono diventate supermercati di diplomi, completamente succubi delle logiche aziendali. “Un insegnamento significativo è un insegnamento di cura, che trasmette il senso dell’importanza delle idee - scrive. - È un insegnamento inclusivo, stimolante. Ed è esattamente l’opposto del trend dominante nelle scuole di oggi”.

Ma neanche l’attivismo, e in particolare il movimento femminista, secondo Segal è rimasto immune dall’attacco del capitalismo che dal femminismo ha preso ciò che più faceva comodo privandolo così del suo potenziale trasformativo e redistributivo. Il femminismo socialista, sostiene l’autrice, non è del tutto scomparso, ma è innegabile che a prendere piede sia stato un altro tipo di femminismo, quello aspirazionale, che promuove l’immagine della donna ricca e famosa, che ce l’ha fatta da sola (in genere questa retorica ignora la posizione iniziale di privilegio).

Questo nuovo femminismo da un lato “celebra le top girls, mentre scredita la (supposta) mancanza di ambizione delle altre donne. È però una strana forma di femminismo, commenta Segal “quella che incoraggia le donne a sfruttarsi lavorando sempre più duramente, e tutto questo in nome della libertà”.

Non è difficile leggere questa virata come un tradimento delle richieste originarie (meno ore di lavoro, benefici universali, reddito di cittadinanza) che avevano come obiettivo la creazione di una società egualitaria, dove contavano i rapporti sociali e l’interdipendenza era un valore, e non il raggiungimento del successo individuale.

Insomma, è necessario quanto prima cambiare rotta e tornare a mettere al centro le relazioni e la comunità, riconoscendo “la nostra interdipendenza come base della democrazia”.

Povertà, disuguaglianze, sofferenza, degrado ambientale, dominio dell’interesse individuale su quello collettivo. I frutti del capitalismo liberista li conosciamo bene. Forse è arrivato il momento di provare un’altra strada. “Sono state la negligenza e l’avidità a metterci in questo casino, e solo la cura e la generosità possono tirarcene fuori. Una volta che siamo in grado di riconoscere e accettare la nostra reciproca dipendenza, diventa ovvio quanto l’amicizia e la solidarietà siano fondamentali nella costruzione di un mondo più equo e più gentile”.

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