Economia

Industria manifatturiera: come influenza la transizione energetica?

Il settore dovrà ridurre le emissioni di gas serra del 61% rispetto ai livelli del 2005. L’obiettivo, fissato dall’Unione europea, è da raggiungere entro il 2030
Credit: Thomas Richter
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20 febbraio 2024 Aggiornato alle 12:00

L’industria manifatturiera, quel settore del mercato che si occupa di trasformare le materie prime in prodotti da distribuire e vendere a consumatori privati o altre imprese, rappresenta una componente fondamentale dell’economia italiana, oltre a essere un fondamentale laboratorio di innovazione capace di trainare con sé tutti gli altri settori imprenditoriali.

Nonostante questo, nel periodo tra il 2007 e il 2022 il valore aggiunto reale sul Pil italiano è sceso di ben 8,4 punti, arrivando al 21%. Un indebolimento che ha colpito in maniera generalizzata un’enorme quantità di imprese e che trova la sua origine nei vertiginosi rincari di gas e luce e soprattutto delle materie prime, legati alle difficoltà geopolitiche e al perenne timore dell’inflazione, controbilanciata da un costante aumento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea. Tralasciando le intemperie, è proprio sullo scenario dell’energia che il settore manifatturiero italiano spicca come un punto di partenza fondamentale per mettere in moto la macchina della decarbonizzazione.

Entro i prossimi 6 anni, infatti, il settore manifatturiero e quello terziario, che comprende tutte le attività che non sono direttamente coinvolte nella produzione di beni materiali ma che forniscono servizi alle persone e alle imprese, saranno chiamati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra rispettivamente del 61% e 44% rispetto ai livelli del 2005. Questi almeno sono gli obiettivi fissati dall’Unione europea, sicuramente ambiziosi ma altrettanto necessari da raggiungere. Secondo uno studio realizzato dal gruppo professionale specializzato in consulenza strategica The European House-Ambrosetti insieme all’operatore energetico Edison Next, per concretizzare simili traguardi occorrerà puntare su investimenti estesi su un ampio ventaglio di tecnologie.

Non solo, quindi, efficientamento energetico e fotovolotaico, le soluzioni più popolari e applicate ma con effetti principalmente sul breve periodo, ma soprattutto green fuels come idrogeno e biometano (ossia carburanti ottenuti dal trattamento di residui organici di natura vegetale o animale) e anche dispositivi di stoccaggio dell’anidride carbonica e nucleare.

«Tecnologie più prospettiche – commenta Giovanni Brianza, Ceo di Edison Next, necessarie per superare la sfida della transizione energetica nelle sue – tre dimensioni: quella ambientale, quella sociale e quella della competitività».

Secondo lo studio Comprehensive evidence implies a higher social cost of CO2 elaborato dall’Università di Stanford, una riduzione di emissioni pari a 28 milioni di tonnellate di CO2 genererebbe un beneficio economico stimato a 5,5 miliardi di euro, grazie al risparmio del costo sociale pagato annualmente in termini di salute, di produzione agricola danneggiata dalle emissioni e dei valori immobiliari danneggiati dall’innalzamento del livello del mare.

Un guadagno su parecchi fronti, sia sociali che industriali. Ma se il settore manifatturiero viene letto come il vero volano del cambiamento energetico, sono ancora poche le imprese della filiera a mostrare una sufficiente consapevolezza sul tema.

In un sondaggio che ha coinvolto 830 aziende, distribuite fra più settori industriali e di diverse dimensioni, emerge che fra le 425 imprese manifatturiere ben il 64% ritiene di possedere una buona conoscenza degli obiettivi di decarbonizzazione e transizione energetica, anche se solo il 26% di esse afferma di poter contribuire attivamente a raggiungerli.

Diversamente, le aziende del terziario, molto meno impattanti ed energivore rispetto all’industria manifatturiera, responsabili di solo il 6% di emissioni climalteranti, si dimostrano mediamente più consapevoli e pronte ad affrontare percorsi e investimenti green, anche se ben il 40% delle aziende non ha adottato ancora nessuna soluzione per la decarbonizzazione.

Questi numeri raccontano una filiera industriale ancora non pienamente consapevole delle potenzialità che il loro settore può sfruttare, ma che comunque presenta alcuni casi estremamente virtuosi. Ne sono un esempio i percorsi di efficientamento energetico e di riduzione della carbon footprint degli stabilimenti di Michelin Italia, con i nuovi investimenti di impianti fotovoltaici e i sistemi di caldaie alimentati a biomassa, come anche i progetti di Iris Ceramica Group, che sarà la prima industria a idrogeno verde di lastre di ceramica a partire dall’anno prossimo, con impianti di produzioni alimentati da energia rinnovabile e acqua piovana recuperata.

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