Ambiente

Le donne sono più esposte alla povertà energetica

Secondo il nuovo report del Joint Research Centre della Commissione Ue, servono maggiori sforzi su politiche di inclusione di giovani imprenditrici nel settore energetico e investimenti su raccolta e monitoraggio dati
Credit: Force Majeure  

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1 febbraio 2024 Aggiornato alle 14:00

Negli ultimi anni sono sempre più numerosi gli studi che indagano gli effetti della transizione energetica sulle donne.

Lo sappiamo bene: l’uguaglianza di genere riveste un ruolo chiave nella transizione verso un’energia sostenibile e nell’assicurare l’accesso universale all’energia. La transizione verso un’energia sostenibile può generare vantaggi e opportunità sia per le donne che per gli uomini. A dirlo sono anche le Nazioni Unite.

L’agenzia UN Women, che si occupa della promozione di politiche di genere inclusive, afferma che l’integrazione di considerazioni relative alla dimensione del genere è cruciale per il raggiungimento di tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

E l’SDG7, che mira a garantire a tutti e tutte l’accesso a un’energia pulita, economicamente sostenibile, e sicura, non rappresenta di certo un’eccezione.

Fino a questo momento, le iniziative guidate dalle donne hanno riscontrato grande successo nel nuovo contesto energetico, specialmente per quanto riguarda le soluzioni energetiche sostenibili applicate in progetti locali comunitari.

Nel panorama europeo, le donne rappresentano una fetta sempre maggiore della forza lavoro impiegata nel settore energetico, soprattutto in qualità di imprenditrici nelle piccole e medie imprese, e contribuiscono sempre più attivamente alla crescita economica e allo sviluppo industriale.

Ciò detto, nonostante si stia andando nella direzione giusta, il legame tra la disparità di genere e la transizione energetica è tuttora molto radicato, e presenta delle sfide che devono essere affrontate per far sì che la transizione energetica non lasci nessuno dietro.

A fare luce su questo argomento è un nuovo studio pubblicato la scorsa settimana dal Joint Research Centre della Commissione europea, in collaborazione con il centro di ricerca olandese 75inQ.

Si tratta del report Gender and Energy: the effects of the energy transition on women, che evidenzia la necessità di un’azione immediata per colmare il divario di genere nell’accesso a un’energia più verde come mezzo per combattere le disuguaglianze e promuovere la resilienza sociale.

Analizzando e approfondendo l’intersezione tra crisi energetica e disparità di genere, questo studio enfatizza l’importanza di implementare politiche realmente inclusive, finalizzate a creare incentivi per un maggiore coinvolgimento attivo delle donne, nonché a incrementare il loro livello di rappresentanza nel settore in qualità di decisioniste e innovatrici.

Per far sì che questa operazione di gender mainstreaming – così gli addetti ai lavori definiscono un approccio strategico che prevede l’integrazione di una prospettiva di genere nell’attività di realizzazione delle politiche - è necessario rompere gli schemi tradizionali della politica, oltrepassare le barriere sociali che spesso impediscono di adottare una visione più integrata e olistica alla sfida rappresentata dalla povertà energetica.

Oltre alla necessità di insistere sulla questione di una maggiore partecipazione e rappresentatività del genere femminile nel settore dell’energia, e di riconoscere le donne come vere e proprie agenti di cambiamento e innovazione, i risultati dello studio condotto dal Joint Research Centre si concentrano poi su due aspetti principali: vulnerabilità e monitoraggio dati.

Anzitutto, viene evidenziato, senza grandi sorprese, che le donne sono i soggetti più esposti al rischio di povertà energetica. Si sa: le caratteristiche del nostro sistema socioeconomico e culturale fanno sì che ogni fattore socio-economico agisca, sulla popolazione, come threath-multiplier, ovvero come moltiplicatore di minacce.

Dal momento che dallo status degli individui dipende in massima parte la loro capacità di adattamento e resilienza alle crisi, ne consegue che le disuguaglianze e i livelli di vulnerabilità preesistenti siano un potente driver di frammentazione sociale visibile anche nella transizione energetica.

Per questo motivo le donne, già svantaggiate da un sistema dominato da dinamiche fortemente patriarcali, risultano più vulnerabili alla crisi energetica. E per le medesime ragioni, lo stesso sistema le rende anche più esposte alle conseguenze del cambiamento climatico.

Quanto alla questione dei dati, lo studio constata la presenza di un gap considerevole relativo a una scarsa efficienza delle istituzioni nella raccolta e nel monitoraggio delle informazioni.

In questo senso, il Joint Research Centre ribadisce più volte la necessità di sviluppare metodologie ancor più robuste per la raccolta e il monitoraggio di dati quantitativi e qualitativi disaggregati per sesso che riflettano tutti gli aspetti della produzione, consumo e impatti sullo sviluppo dell’energia. Ciò è infatti cruciale se si vuole effettuare una valutazione oculata e precisa dei progetti legati alla transizione energetica.

Infatti, solo se è possibile individuare, con l’utilizzo di metodi quantitativi, il loro livello di inclusività e rappresentatività dal punto di vista di genere, è possibile auspicare nell’implementazione di misure adeguate e targettizzate, sia a livello nazionale che europeo.

Insomma: per colmare il divario di genere attualmente presente nel settore energetico non basta promuovere una partecipazione equa della componente femminile. In primis, occorre anche e soprattutto riconoscere quali sono le vulnerabilità che a monte causano queste disuguaglianze strutturali, così da poter intervenire con correttivi e politiche mirate.

È un investimento sul futuro. Un investimento necessario per tracciare la strada per una società europea che sia più giusta, sostenibile, e resiliente.

E per fare ciò, non è possibile pensare di poter lasciare indietro metà della popolazione mondiale.

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