Culture

“Il nemico ideale”: viaggio nell’antisemitismo di ieri e di oggi

Partendo dall’Affaire Dreyfus e arrivando all’hate speech sui social, Nathania Zevi spiega nel suo libro cosa significa essere una persona ebrea, per decostruire stereotipi, pregiudizi e combattere l’ignoranza
Tempo di lettura 6 min lettura
30 gennaio 2024 Aggiornato alle 17:00

Chi è il nemico ideale da combattere? Che sia una persona ebrea? Magari un collega, un amico, un vicino di casa, uno sportivo. Uno “certamente ricco” che non si sente italiano, che non partecipa fino in fondo alla vita del suo Paese “perché festeggia feste diverse”. Una persona che sposa un’altra persona ebrea “perché stanno sempre tra di loro”. Uno che non ha il passaporto italiano ma quello israeliano; uno che va odiato “perché sono tutti intelligenti”.

Parte da questo titolo, da questa provocazione, che rimarca uno spaccato di realtà dimostrato più e più volte con sondaggi, classifiche e dati di fatto, il libro Il nemico ideale, scritto da Nathania Zevi e pubblicato da Rai Libri. Un racconto sull’antisemitismo in Italia e nel mondo che prova a gettare luce su quanto questo fenomeno sia sempre più pericoloso.

Partendo dalle origini, Zevi ripercorre l’Affaire Dreyfus, scandalo politico del 1894 che divise la Francia sulle sorti dell’ufficiale ebreo alsaziano accusato ingiustamente di spionaggio e arrestato per alto tradimento. Un clamoroso errore giudiziario di cui Dreyfus fu vittima (a causa di una grave manipolazione delle prove e dei fatti) e che rivelò il profondo antisemitismo che insidiava le istituzioni francesi e di tutta l’Europa.

Un’onta che, all’epoca, accelerò il processo di organizzazione di uno Stato ebraico, a seguito del primo Congresso Sionista organizzato a Basilea a opera di Herzl. Viene ricordato, inoltre, come la scelta della Palestina, come Stato di Israele, derivasse dal fatto che, nella religione ebraica, questa fosse considerata la terra promessa, in cui gli ebrei si erano originariamente insediati prima della diaspora e verso cui, alla fine dell’800, sulla crescente spinta dell’antisemitismo, cominciarono a migrare, territorio al tempo dominato dall’impero ottomano e popolato in maggioranza da arabi.

La cronologia storica, ripercorsa tra le pagine del libro analizza, quindi, il percorso, le difficoltà e i processi che portarono gli ebrei a insediarsi in terra palestinese, con la presa di potere dell’impero britannico, la nascita ufficiale dello stato di Israele, nel 1947, e le continue tensioni tra i due popoli, da allora fino ai recenti fatti di Hamas.

La giornalista riporta esperienze personali per raccontare come, nel momento in cui l’Europa cominciava a diventare, per gli ebrei, un posto sempre più ostile, questi cercarono rifugio in Palestina non per manie di espansione, ma per l’impossibilità di rimanere nelle città e nei Paesi che un tempo avevano chiamato casa e che ora non erano più un luogo sicuro. Inoltre, con la fine del conflitto mondiale e le ferite aperte della Shoah, lo Stato di Israele non rappresentava più per gli ebrei solo un progetto, ma un imperativo morale: una casa sicura di cui avevano assoluto bisogno.

Nathania Zevi rivendica la storia degli ebrei, la loro ostinata determinazione a fare, a salvarsi, a trasmettere la propria identità ai loro figli, la resistenza operosa e consapevole, lo sforzo di essere la versione migliore di sé stessi nonostante le avversità e la pervicacia di sopravvivere sottolineando, però, come sulle spalle degli ebrei gravi il più grande “spread” del mondo, tra realtà effettiva e realtà percepita.

Se nei secoli, infatti, gli ebrei sono stati untori, profanatori, usurai, avvelenatori di pozzi, infanticidi, deicidi, sporchi, assetati di potere, solidali tra loro, se sono stati visti come i primi beneficiari di tutti i cambiamenti sociali, demografici, economici di ogni epoca, nonché fautori delle grandi rivoluzioni di cui avrebbero raccolto i frutti e se, ancora, nella liturgia cattolica, per molto tempo, si è pregato per i “perfidi ebrei”, la caratterizzazione stereotipica dell’ebreo nei nostri giorni acquisisce ancora connotazioni tristemente note nell’antisemitismo dove l’ebreo stesso viene visto come fisicamente grottesco, manipolatore, attaccato al denaro.

Rifacendosi alla propria esperienza personale, Zevi spiega, quindi, quanto sia difficile essere ebrei oggi. Quanto la propria identità spinga, quasi sempre, gli ebrei a una ritrosia, a una comunicazione di sola difesa, a una chiusura e a una rappresentazione di sé solo attraverso drammi del passato che, in una sorta di cortocircuito, rischiano di alimentare il pregiudizio, o di creare un effetto boomerang, per cui gli ebrei, nel tentativo di essere ricordati, potrebbero finire per farsi dimenticare.

Da qui, la necessità di scrivere Il nemico ideale in quanto l’‘unica via d’uscita contro l’oblio e l’ignoranza sembra essere quella della conoscenza del fenomeno a partire dai fatti, attraverso un viaggio nell’antisemitismo fino ai giorni nostri.

Giorni in cui, comprendere cosa sia la giudeofobia risulta quanto mai difficoltoso. E per quanto antisemitismo e antisionismo abbiano nature diverse (il primo ha radici antiche di carattere culturale e il secondo nasce contestualmente con lo Stato di Israele e in reazione alle sue politiche), oggi sembra esserci una correlazione sempre più crescente tra i due termini, come se entrambi avessero un germe comune alla base: l’automatismo a identificare il nemico ideale sulla base di un pregiudizio, di un male subdolo che viaggia in velocità e riesce a sedimentarsi all’interno dei discorsi grazie all’estrema contagiosità e alla capacità di farsi largo nel vuoto educativo.

Al di là delle politiche israeliane e al conflitto in Palestina, l’intento di Zevi è quello di evidenziare con forza la problematicità di certe posizioni che rifiutano Israele e che, di fronte all’uccisione di uomini, donne e bambini per mano di Hamas si schierano come in una tifoseria, “dall’altra parte”, in quanto gli ebrei sembrano valere sempre un po’ meno degli altri.

Un valore negato che trova da secoli una risposta nell’antisemitismo che, oggi, è amplificato dai social dove gli estremisti pubblicano contenuti antisemiti e nazifascisti. Gli esempi riportati dalla giornalista, all’interno del libro, sono molti, dagli attacchi antisemiti nei confronti di Liliana Segre (sotto scorta dal 2019) all’odio antiebraico evidenziato con l’11 settembre, con la pandemia e la guerra in Ucraina, nella triste consapevolezza che, nonostante l’apologia del fascismo sia reato in Italia, questa informazione venga spesso trattata più come indicazione di massima che come legge, dal momento che si parla ancora di saluti romani e aggressioni antisemite.

In un passaggio del libro Zevi, parlando dei propri figli afferma: “conoscere sé stessi e le proprie radici è un’inesauribile fonte di forza, ed è questo che spero di dare loro, crescendoli nella consapevolezza di cosa significa essere ebrei, perché se tu non sai chi sei, te lo dirà qualcun altro. Troveranno sempre qualcuno, nel mondo, che li additerà come nemici senza sapere perché, ma spero che quando succederà avranno gli strumenti per riconoscere il proprio valore, per ricordarsi da dove vengono e sapere che chi li insulta sta mentendo o, semplicemente, non sa”.

Perché era, è e sarà sempre l’ignoranza il nemico vero da combattere. Il principale alleato dell’antisemitismo

Leggi anche
Libri
di Virginia Maciel da Rocha 3 min lettura
Social network
di Elena Magagnoli 4 min lettura