Ambiente

La produzione di Adidas Gazelle non è etica

Lo rivela un’inchiesta di Follow the Money: il brand sarebbe responsabile di sfruttamento dei lavoratori, deforestazione e abbattimento di migliaia di animali per l’ottenimento delle materie prime
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26 gennaio 2024 Aggiornato alle 12:00

A un anno dalla crisi dovuta all’interruzione della collaborazione con il rapper Kanye West, Adidas è di nuovo in cima alla classifica dei brand più venduti e le sue sneakers Gazelle, Samba e Spezial spopolano tra giovani e influencer.

A gettare ombre su questo successo nelle vendite, però, è la recente inchiesta di Follow the Money: stando alla piattaforma di giornalismo investigativo, le celebri sneakers sarebbero prodotte in condizioni contrarie agli standard internazionali in materia di diritti umani e sostenibilità tra ritmi di lavoro estenuanti, deforestazione massiva e abbattimento di decine di migliaia di animali.

Era il 25 ottobre 2022 quando Adidas, colosso tedesco dell’abbigliamento sportivo, dichiarava di interrompere la collaborazione con il rapper Kanye West a causa delle dichiarazioni antisemite pronunciate in diverse occasioni dal musicista americano. «I commenti e le azioni compiute da Ye sono inaccettabili, odiose e pericolose» - aveva spiegato il brand in una nota - Per questo, la società ha deciso di interrompere la collaborazione con Ye con effetti immediati. Da domani, i prodotti Adidas customizzati da Kanye non saranno più disponibili, e i finanziamenti al progetto Adidas Yeezy saranno bloccati».

Adottata poco dopo anche da Gap e Foot Locker, la decisione aveva suscitato scalpore tra i fan dell’artista e gli effetti non avevano tardato ad arrivare.

All’indomani delle dichiarazioni, Adidas registrava un crollo in borsa del 4%, e dalla sede del brand si annunciavano perdite immediate di più di 250 milioni di euro ($246 milioni di dollari). Cominciava così un momento di grossa crisi per il marchio tedesco, che si trovava a fronteggiare una perdita di fatturato pari a circa il 7% del giro d’affari complessivo, dal momento che le scarpe Yeezy avevano generato vendite per oltre un miliardo di euro.

Dopo il divorzio da Kanye, Adidas chiudeva con un buco di 600 milioni nei ricavi del quarto semestre del 2022, e il fatturato del per il 2023 prevedeva un calo di circa 1,2 miliardi di euro. «I numeri parlano da soli, attualmente non stiamo performando come dovremmo», aveva dichiarato il ceo Bjørn Gulden.

«Stiamo valutando che fare, certi che troveremo una soluzione».

Soluzione che, all’improvviso, si materializza sotto le spoglie della vecchia Gazelle, storica scarpa Adidas nella collezione dagli anni ‘40 originariamente pensata per il calcio indoor.

È la collezione Terrace a ridar vita all’azienda: con la sua proposta di modelli storici come Adidas Samba, Gazelle e Spezial, negli scaffali di tutto il mondo da inizio 2022, la collezione va a ruba tra sportivi e fashion victim di tutto il mondo, che ne apprezzano la vestibilità e l’ampia scelta di colori.

A metà del 2022, la sneaker viene rilanciata definitivamente dalla collaborazione con Gucci: le Adidas Gazelle x Gucci spopolano tra le celebrità e influencer del calibro di Bella Hadid e Kendall Jenner vengono immortalate con le ormai celebri scarpe ai piedi, diventate anche un trend su TikTok.

Inaspettatamente, Adidas si trova a dover aumentare la produzione delle scarpe sportive da 50.000 a 600.000 paia di scarpe al mese e nel quartier generale del brand si tira un sospiro di sollievo: dopo attimi di paura, il rischio dell’allora previsto crollo in borsa del 10% pare ormai scongiurato e il momento di crisi dovuto dalla separazione da Kanye West sembra un vago ricordo.

È questa la storia di successo e rinascita imprenditoriale che si sarebbe potuta raccontare, parlando di Adidas, fino a pochi giorni fa.

Risale infatti al 16 gennaio la pubblicazione dell’inchiesta di Follow the Money, piattaforma indipendente di giornalismo investigativo, che riporta alcuni dubbi a proposito dell’eticità e delle condizioni in cui le sneakers sarebbero prodotte, gettando così non poche ombre sul successo del colosso della fashion industry mondiale.

Stando a quanto riportato dal media olandese, infatti, il contesto nel quale le scarpe Adidas di cui sopra sarebbero confezionate sarebbe di molto in contrasto con gli standard di sostenibilità e sviluppo globalmente riconosciuti; al contrario, le scarpe sarebbero il frutto di un processo produttivo in cui sfruttamento dei lavoratori e deforestazione sarebbero all’ordine del giorno, divenendo parte integrante del ciclo produttivo.

Stando a Follow the Money, la cui inchiesta riporta le dichiarazioni rilasciate da una dipendente dell’ufficio acquisti di un’azienda della supply chain, l’inaspettato quanto vertiginoso aumento della domanda del prodotto avrebbe messo Adidas in difficoltà nel trovare le materie prime necessarie a confezionare tutte le sneakers richieste mensilmente dal mercato globale.

Così, il brand avrebbe optato per la scelta di pelle e cuoio reperibili a basso prezzo, provenienti da imprese brasiliane tra le maggiori produttrici di carne e pelle bovina al mondo (si parla di JBS, Minerva, Viposa, Vancouros e Fuga Couros) al centro, ormai da anni, di accese polemiche per la comprovata responsabilità delle stesse nella deforestazione illegale della foresta amazzonica, oltre che per le pratiche di allevamento intensivo e il brutale abbattimento di decine di migliaia di bovini.

«A causa dell’enorme domanda di Adidas Gazelle e Spezial, siamo costretti a espanderci molto rapidamente» dichiara la fonte di Follow the Money; a riprova di ciò, da un’ispezione del Ministero del lavoro brasiliano, arrivava notizia della responsabilità dei colossi dell’allevamento brasiliano coinvolti nella filiera produttiva di Adidas nella scomparsa di un’area della foresta amazzonica più grande del Belgio, con molte gravi conseguenze in termini di tutela delle popolazioni indigene, salute collettiva e benessere ambientale.

E l’inchiesta non finisce qui. Secondo Follow the Money, infatti, gli animali e l’ambiente non sarebbero i soli sfruttati dalla catena produttiva delle sneakers: stando alle fonti riportate dalla piattaforma il calzaturificio, a fronte di un aumento di 12 volte della produzione, non avrebbe aumentato in proporzione il numero di dipendenti della filiera, costringendo i pochi lavoratori già impiegati nell’attività produttiva - si parla circa di 7.000 impiegati - a condizioni di lavoro devastanti caratterizzate da assenza di misure di sicurezza, straordinari non retribuiti e stipendi da fame.

Secondo l’inchiesta, gli impiegati sarebbero costretti a orari di lavoro quasi continuativi, con un aumento esponenziale della pressione sui reparti tale da costringerli a vivere in capanne di tronchi all’interno della proprietà. Il tutto, senza un contratto e con una paga di 50 reais al giorno (7,5 euro).

Da queste accuse, pochi giorni fa, il marchio tedesco ha preso le distanze in maniera netta: «Il nostro obiettivo è aiutare a porre fine all’inquinamento. Crediamo nel cambiamento che vogliamo, per questo ci diamo obiettivi precisi su cui concentrarci. Non sarà un’impresa semplice, ma ne varrà la pena», si legge sul sito ufficiale di Adidas nella pagina dedicata alla Sostenibilità, mentre Stefan Pursche, portavoce del brand, ha risposto così ai giornalisti di Follow the Money: «Respingiamo le accuse con forza. Adidas ha istituito degli standard da rispettare nella scelta delle materie prime, e in particolare di pelle e cuoio, perché essi siano prodotti in condizioni rispettose. È dal 2006 che lavoriamo con il Leather Working Group, e ci siamo sempre impegnati affinché i nostri prodotti fossero in linea con gli standard internazionali di diritti umani, sostenibilità e benessere animale». E davanti alla domanda a proposito di possibili violazioni: «Adidas crede fermamente nel diritto a un lavoro equo e sicuro, da rispettare lungo tutta la catena produttiva. Ogni giorno, il nostro team di 50 esperti è al lavoro per assicurare che tali standard siano applicati e rispettati in ognuno dei nostri stabilimenti. Dal 2022, il team ha passato in rassegna più di 1.200 fabbriche: se i nostri standard vengono violati, interviene il nostro meccanismo sanzionatorio, che può portare alla fine immediata della collaborazione. Se troveremo qualcosa che non va all’interno del nostro ciclo produttivo, saremo i primi a intervenire: su questo, potete stare tranquilli».

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