Storie

Alessandro Baltaro: «Mio nonno e l’incidente che mi ha fatto capire chi sono»

Vent’anni, grafico (anche per La Svolta) e programmatore, studia al Politecnico di Milano. Protagonista della nostra campagna sui tram, racconta qui la sua #storiadisvolta, che parte da due eventi tragici che lo hanno riavvicinato alla famiglia
Foto di Emanuele Berardi
Foto di Emanuele Berardi
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11 marzo 2022 Aggiornato alle 22:15

Alessandro ha vent’anni, gli occhi blu e l’atteggiamento di chi prende a morsi la vita. È un libero professionista, fa il grafico, il programmatore, studia al Politecnico di Milano e chi più ne ha più ne metta. Sa cosa vuole dalla vita, ha già vinto un campionato mondiale di robotica alle scuole superiori, organizzato da Nasa, Esa e Mit, programmando dei robot collocati sulla Stazione Spaziale Internazionale. Ma, per quanto strepitosa, questa non è la sua svolta. Racconta, invece, di una svolta più intima, personale.

Quando ne parla, si spoglia di tutta quella sicurezza che trasmette quando racconta i suoi traguardi: «È legata alla mia famiglia, che è tutto per me. Per un periodo ho fatto fatica ad aprirmi con i miei genitori» racconta lui, originario di Vercelli che ora vive a Milano con la sorella, più grande di lui. «Spesso non basta avere un bel rapporto, la timidezza e i timori prevalgono e ti portano a chiuderti in quello che, agli occhi di chi ti cresce, può sembrare disinteresse, sfacciataggine. Eppure, non lo è».

Il rapporto con padre e madre cambia in due date ben precise: il 12 marzo e il 31 agosto del 2020. La prima coincide con l’inizio della pandemia in Italia: tempo di lockdown, delle prime mascherine, delle serrande dei negozi e dei ristoranti completamente abbassate. «Il Covid ha portato via mio nonno senza che io lo vedessi. Ed era passato del tempo dall’ultima volta che l’avevo incrociato, mi dicevo sempre “Quando esco vado a trovare nonno Pino”, e quel momento non è mai arrivato».

Poi, quella stessa estate, Alessandro sta tornando in macchina da Novi Ligure quando un tir sbanda, gli taglia la strada e lo spinge contro un guardrail: «Ho visto la morte in faccia, ho pensato alla mia famiglia e ho capito quanto poco sapessero di me, quanto poco gli avessi dimostrato il mio affetto e raccontato delle mie sensazioni e paure». E poi ha una strana sensazione: gli sembra che qualcuno sia intervenuto, l’abbia salvato da quell’incidente che avrebbe potuto costargli la vita: «Avevo sentito la presenza di mio nonno accanto a me, le sue mani che mi avvolgevano. Ho scoperto, più tardi, che quel giorno era proprio San Giuseppe, come si chiamava lui». E così torna a casa, abbraccia i suoi genitori, finalmente si apre. «Voglio costruirmi la mia strada, continuare con gli studi in Management, ma senza mai dimenticare da dove vengo. Senza mai mettere da parte chi mi ha permesso di arrivare fino a qui».

Alessandro ripensa a suo zio partigiano, alla zia staffetta, ai nonni che hanno vissuto la guerra stando dalla parte giusta. «È da loro che ho appreso i miei valori, che voglio portare con me anche nel lavoro che ho scelto. È un ambito che tende a essere freddo, distaccato, puntato a produrre a più non posso». Ma Alessandro vuole portare anche lì, tra un codice e l’altro, i valori della sua famiglia. Lottare come hanno sempre fatto loro. «Voglio renderli fieri di me. E quando lo farò, quella sarà la mia vera svolta».