Culture

Nella tana del coniglio: quando le parole riflettono una verità che gli specchi stentano a cogliere

Quali traumi possono contribuire a scatenare un disturbo del comportamento alimentare? Come stare vicino a chi ne soffre? Se ne parla nel nuovo libro di Francesca Fialdini e Leonardo Mendolicchio
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28 gennaio 2024 Aggiornato alle 11:00

Cosa spinge così tante e tanti giovani a desiderare di modificare il proprio corpo fino a farsi male? Cosa c’è dietro alle parole utilizzate per descrivere la propria storia? Da cosa nasce l’istinto a soffocare i sentimenti, a selezionare quelli dicibili e a “ingoiare” quelli indicibili? Cosa ha a che vedere tutto questo con l’insorgere di una lotta con il cibo? Soprattutto: dove abbiamo sbagliato?

Nel libro Nella tana del coniglio, ispirato al programma televisivo Fame d’amore, scritto da Francesca Fialdini con la consulenza scientifica dello psichiatra Leonardo Mendolicchio e pubblicato da Rai Libri, ci si interroga su tutte queste domande per approfondire il tema dei disturbi alimentari, partendo da una parola chiave che anticipa e chiarifica la risposta: tradimento.

Il testo si apre, infatti, con la spiegazione di questo termine, tratta dal dizionario Treccani, dove il tradire è definito come l’atto di venire meno a un dovere o a un impiego morale o giuridico di fedeltà e di lealtà (…) con particolare riferimento al dovere o all’impegno di essere fedele al coniuge o alla persona cui si è uniti da un rapporto d’amore e d’affetto.

Parlare di disturbi alimentari è, infatti, parlare di relazioni, parlare d’amore. Nelle viscere di chi soffre di anoressia c’è un archetipo ancestrale, una drammatica sovrapposizione tra vivere ed essere amati. L’anoressia è, infatti, un modo per rifiutare il rapporto con l’altro, per cercare di dimostrare di essere talmente brav* che, vincendo la fame si può sopravvivere senza la necessità della presenza di qualcuno nella propria vita. «Smettere di nutrirmi - dice Valentina tra le pagine del libro - significava smettere di nutrire e alimentare quella fame insaziabile, quella fame d’amore». Diversa è la bulimia che può nascondersi per decenni in un corpo normopeso senza destare sospetti, almeno finché qualcuno non se ne accorge. Chi soffre di bulimia si ingozza di relazioni desiderate e agognate, finendo poi per sputarle per il troppo dolore.

Tutte quelle raccontate da Francesca Fialdini sono storie vere, che danno dignità a chi soffre. Storie tratte da interviste impostate secondo una logica che ha come focus, più che la manifestazione del dolore, la rete sociale intervenuta a sostegno della persona malata. Un racconto profondo e onesto, appassionato e, al contempo, delicato, rispetto al ruolo che il nostro modo di esprimere l’amore nelle relazioni ha nella dinamica dei disturbi alimentari. Un testo fatto di dialoghi in cui si entra in punta di piedi per dare spazio al tipo di narrazione che l’intelocutore/trice preferisce, perché le parole spesso e, soprattutto in questi casi, riflettono una verità che gli specchi stentano a cogliere.

I protagonisti di Nella tana del coniglio sono tutti in cura presso un centro specializzato della rete Food for mind, hub multidisciplinari per la cura dei disturbi alimentari, dove sono seguiti da psicologi e nutrizionisti. Ragazz* unici/che come il dolore che si portano dentro. Giovan* che soffrono di anoressia, ortoressia, bulimia, binge eating disorder (alimentazione incontrollata); persone in crisi e che, tramite il cibo esprimono un malessere profondo, che faticano a prendere parte a una socialità attiva, così come a immaginare il proprio futuro, vivendo un presente di estrema instabilità.

Al centro di queste pagine, oltre alla convinzione che parlare di determinate tematiche sia una forma di nutrimento reciproco, vi è il desiderio di porre, all’attenzione del pubblico, il grande tema del linguaggio nell’approccio alla cura (e alla prevenzione) dei disturbi del comportamento alimentare affinché di fronte a un corpo troppo magro o troppo grasso non si senta più dire “Non mangia perché vuole fare la modella” o “Mangia troppo perché è pigra, non ha forza di volontà”, ma si capisca, invece e finalmente, che nutrirsi o non farlo implica solo il fatto di avere un problema.

Leggerne le storie significa comprendere come essere anoressici significhi punire il proprio corpo rendendolo invisibile rispetto ad attenzioni erotico-sessuali subite o, al contrario, rispetto ad attenzioni mancate o, ancora, assomigliare alle ragazze dei “prima e dopo” su Instagram.

Quella che si cerca, in tutti questi casi, non è la bellezza ma la perfezione, non è la magrezza ma la “magrezza malata” in un circolo vizioso in cui, di pagina in pagina, ci si chiede se l’aspirazione dei protagonisti sia la volontà di diventare invisibili e scomparire per sempre, o quella di diventare visibilissimi, finalmente considerati.

Insomma, significa capire che le persone con disturbi alimentari ci chiedono aiuto dicendoci, al contempo, “guardami”.

Significa comprendere come chi riempie il proprio corpo, dilatandolo a dismisura, cerchi una distanza fra sé e gli altri, tracciando un perimetro dentro al quale sentirsi al sicuro, indossando una corazza a propria difesa. Significa scontrarsi con la certezza di un bisogno. Quello di lasciare i propri sintomi vivi per permettere loro di dire quello che, a parole, non si riesce e che gli altri, altrimenti, non ascolterebbero, né cercherebbero di capire o rispettare nella “società delle performance”.

Una società dove un* giovane deve svolgere i suoi compiti in una determinata maniera, essere brav* al liceo per entrare nella migliore università, nello sport, a danza, deve essere magr*, mangiare cibi sani, procurarsi un lavoro con uno stipendio decoroso e aspirare a ottenere posizioni sempre più elevate. Una società in cui ci sentiamo estrane* nella nostra stessa abitazione e dove, in certi casi, sembra molto più difficile vivere che morire.

Alle storie dei pazienti raccontate e commentate da Fialdini, si associano, di capitolo in capitolo, le osservazioni specialistiche di Mendolicchio che dimostrano come ogni percorso di cura si debba personalizzare sulla base della specificità del singolo caso. Si apprende, così, che il disturbo alimentare è uno per ogni paziente. Esiste come modello e come possibilità di esprimere un malessere, ma quella possibilità si declina soggetto per soggetto.

In una società, come quella attuale, dove le forme di disturbi alimentari, accresciute del 40% nel corso della pandemia (specie nella fascia 10-13 anni) rappresentano uno spaccato della realtà sempre più presente (questa piaga, a oggi, colpisce 3 milioni di italiani), la lettura di questo testo appare necessaria e urgente per comprendere cosa succede davvero, quali sono i possibili scenari e percorsi di cura e come affrontano tutto questo le famiglie che ne sono coinvolte.

Nella conferenza stampa di presentazione del libro, Francesca Fialdini, parafrasando il filosofo Simone Weill, ha affermato che «L’attenzione è la forma più rara e pura di generosità». Un messaggio semplice e potente che sintetizza, in poche parole, il significato di questo lavoro e quanto basterebbe aprirsi all’altro e guardarlo per comprenderlo. Un appello rivolto soprattutto al sistema sanitario e alle istituzioni, affinché supportino le famiglie nel “nutrire” quest* giovan*. Dove per nutrimento, ancora una volta, si intende uno strumento d’amore contro la solitudine dell’incomprensione.

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