Culture

Social e anoressia: una relazione pericolosa

L’instafood, i fit-influencer, filtri facciali, siti pro-ana: in Social Fame Laura Dalla Ragione e Raffaela Vanzetta (esperte di disturbi alimentari) analizzano l’impatto che le piattaforme hanno sui giovani
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4 maggio 2023 Aggiornato alle 10:00

In un mondo sempre più virtuale in cui il corpo è assente, siamo bombardati di messaggi riguardo la forma fisica. La bellezza snella e tonica è diventata sinonimo indiscusso di salute, di condotta performante del proprio stile di vita. Di responsabilità personale. Allo stesso modo, sul web mangiamo come mai prima: il cibo è l’immagine più instagrammata del mondo, si parla di food ovunque, meglio ancora se healthy, con nutrizionisti guru che dispensano consigli da qualsiasi piattaforma.

La narrazione social della perfezione fisica e dell’alimentazione ci perseguita e spesso è la molla per ispirare comportamenti più sani. Ma nella mente dei nostri adolescenti più fragili questo binomio segue regole diverse. Per chi soffre di una alterazione percettiva del proprio corpo, la sovraesposizione a messaggi relativi alla bellezza, alla qualità e quantità di cibo può diventare un’ossessione e creare connessioni inaspettate. È un’autostrada virtuale che accelera il percorso verso la malattia reale.

Con che occhi leggere Social Fame (Il pensiero scientifico editore, 304 pagine, 18 euro) il nuovo saggio della psichiatra Laura Dalla Ragione e della psicoterapeuta Raffaela Vanzetta, che indaga il rapporto tra social media e disturbi alimentari? Con lo sguardo preoccupato della madre di figli ancora minorenni o con la mente in allerta della giornalista che sa di avere tra le mani una riflessione potente che tocca un tema emergente, soprattutto per chi fa divulgazione via web?

Partiamo da un dato, sottostimato: in Italia sono più di 3 milioni le persone che soffrono di disturbi alimentari e della nutrizione, chiamati Dan. Sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti dai 12 ai 17 anni dopo gli incidenti stradali e nel 2022 hanno causato 3.260 decessi: già questo basterebbe per gridare all’allarme.

La pandemia ha aggravato il fenomeno tra i teenager, così come aumenta il numero di pazienti maschi (tra 10 anni si calcola che non sarà più una malattia di “genere” femminile) e di bambine in età prepubere “il cui quadro clinico è sovrapponibile a quello delle ragazze adolescenti: una ideazione intensa sul cibo e sulle forme corporee, l’uso della restrizione, del vomito e dell’iperattività attività fisica, una selettività estrema di cibi, un’insoddisfazione del proprio aspetto che si trasforma in ossessione” scrive Laura Dalla Ragione, direttrice Uoc Disturbi della nutrizione e alimentazione Usl 1 dell’Umbria e tra le maggiori esperte italiane di queste patologie.

Se una volta si parlava solo di anoressia, oggi la sindrome più frequente è la bulimia nervosa che porta a un discontrollo degli impulsi con abbuffate seguite da vomito o uso di lassativi. A questa si associano forme multicompulsive tra le quali l’abuso di alcol e droghe e gesti autolesionisti come il cutting. Anche il disturbo da alimentazione incontrollata, detto binge eating, è rientrato nel celebre DSM-5.

Ma quello che è cambiato, che sta cambiando, è l’aumento delle forme parziali in cui sono presenti alcuni, ma non tutti, sintomi e che rallentano la diagnosi: la ricerca della magrezza, il fitness estremo e il mangiar sano sono inizialmente condivisi e socialmente accettati, se non esaltati. Si arriva a chiedere aiuto troppo tardi o anche mai.

I Dan sono malattie che minano il fisico ma partono da un disagio dell’anima che inizia prestissimo oggi. Le cause sono multifattoriali, molte sono ancora oggetto di indagine, spesso sono il risultato di un mix ambientale, traumatico, culturale. Come ricordano le autrici, tra le diverse malattie psichiatriche queste registrano il minor tasso di adesione alle cure e il massimo di egosintonia. C’è un legame profondo tra il paziente e il sintomo, una fase di “luna di miele” in cui si vedono solo gli aspetti positivi della patologia: il dimagrimento, l’onnipotenza del controllo della fame, una forma estrema di autocura per gestire il proprio male esistenziale.

Come si inseriscono i social media in questo pericoloso percorso verso la malattia? “Poiché uno dei fondamenti della psicopatologia del Dan è una gravissima alterazione dello schema corporeo, l’uso o abuso di tecnologie dove l’immagine viene utilizzata per comunicare, messaggiare, creare consenso può determinare la diffusione di messaggi negativi e fuorvianti” scrive Dalla Ragione.

Negli ultimi anni nei centri di aiuto si lavora molto sull’impatto dei social sui giovanissimi soprattutto, analizzando la loro “dieta mediatica”. Ci si è resi conto che esporsi ossessivamente su alcune piattaforme costituisce un fattore di rinforzo per la patologia alimentare. L’ascesa dell’instafood come cultura ha segnato per molti una svolta tossica nelle relazioni con il cibo: “Alcuni non sanno più fare a meno di fotografare la propria cena, altri virano verso forme di iper o ipoalimentazione” aggiunge la biologa nutrizionista Maria Vicini nel capitolo dedicato alla convivialità virtuale.

L’utilizzo disfunzionale del cibo è ben visibile nel “mubkang watching”, una trasmissione online in cui una persona mangia cibo in grandi quantità in poco tempo mentre interagisce con il suo pubblico tramite chat. Nato in Corea del Sud come fenomeno conviviale, si è diffuso in tutto Occidente creando delle vere star che mangiano, masticano, deglutiscono, scartano confezioni di cibo, con un effetto sensoriale Asmr che dà formicolio e senso di felicità. Il risultato, per chi segue queste chat, è una sensazione di mangiare per “procura”, soddisfacendo il desiderio di cibo guardando un’altra persona che si nutre. L’impatto su chi soffre di Dan è evidente.

Allo stesso modo, complice la pandemia, tra le parole più ricercate su Google nell’ultimo biennio ci sono i termini “dieta” e “workout”, l’allenamento casalingo. Il messaggio che passa è che con la forza di volontà si può ottenere il fisico che si desidera, sempre mostrando il prima e il dopo di chi ce l’ha fatta: “Può sembrare un aspetto trascurabile ma non lo è - avvisa la nutrizionista Maria Vicini - Nel caso di giovanissimi capita che vengano attratti dai fit-influencer sui social e inizino a seguirli allenandosi nella loro cameretta, per ore, senza che nessuno se ne accorga. Senza sapere che il lavoro di questi influencer è proprio il loro corpo e che si sentiranno sempre in difetto rispetto a loro”. Soprattutto se hanno 9-10 anni e un fisico non ancora sviluppato.

Sotto la lente di chi si occupa di Dan finisce anche il marketing della nutrizione e dei nutrizionisti, dei fit-tracker che contano passi e calorie, dell’hashtag di Tik Tok “what I eat in a day” che mostra la propria dieta giornaliera, delle fitness influencer, dei filtri che creano la “Snapchat dysmorphobia”. E naturalmente i siti e le community pro-ana e pro-mia che esaltano l’anoressia e la bulimia, spesso cluster (gruppi di persone interessate a uno stesso argomento) dove ci si finisce anche inconsapevolmente grazie agli algoritmi senza alcun correttivo delle piattaforme più usate dai teenager.

“La caratteristica di questi siti, gruppi o profili è quella di costituirsi come delle sette, dei movimenti underground dove si lanciano appelli alla manipolazione corporea in termini di magrezza e all’opposizione al mondo degli adulti. Il livello di terrorismo psicologico lascia interdetti” scrive Laura Dalla Ragione.

Il saggio prosegue con numerosi interventi di esperti che toccano temi importanti e complessi: il corpo che da oggetto privato diventa sempre più pubblico, i social come facilitatori della possibilità di empowerment identitario, la disincarnazione delle emozioni, la domanda di felicità della società mediatica, i desideri indotti e quelli mimetici (si desidera sempre più quello che desiderano gli altri), il body shaming, l’epidemia di bellezza e della convinzione di essere “brutti” tra i giovani. La difficoltà anche di fare prevenzione, perché chi soffre di Dan può trovare un rinforzo persino nelle storie di chi ha vissuto lo stesso disturbo, così come nelle campagne di informazione nelle scuole.

Ma un punto è di cruciale importanza: anche se le ricerche e i dati iniziano solo adesso a dimostrare una correlazione tra social media e disturbi alimentari, la presa di coscienza collettiva del mondo adulto deve essere tempestiva. Viviamo ormai tutti “onlife” (termine coniato dal sociologo Luciano Floridi) e le famiglie sono sempre più “ibridate”. 4,6 miliardi di persone nel mondo oggi sono iscritte a uno o più social media e vi trascorrono 2 ore e 27 minuti al giorno. Ignorare l’impatto di questo cambiamento sui giovani è impossibile. E ancor di più, lo è ignorare che il loro universo virtuale è sempre più parte della costruzione del loro reale, con tutti i pericoli, le trappole, le nuove necessità di attenzione che ne conseguono.

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